00 06/11/2007 10:43

Per salvarsi e salvare il mondo

di Marco Invernizzi

Ricevendo alcuni vescovi svizzeri, Benedetto XVI ha ricordato che è anzitutto la preghiera a salvare il mondo. Da qui l’invito a imparare a pregare e a istituire “scuole di preghiera” adatte allo scopo.

[Da «il Timone» n. 59, gennaio 2007]

Dopo i quattro pilastri, ossia la prima enciclica Deus caritas est (25 dicembre 2005), il discorso del 22 dicembre 2005 alla curia romana dedicato soprattutto alla corretta interpretazione del Concilio Vaticano II, il discorso di Ratisbona (12 settembre 2006) che tanto clamore ha sollevato e infine quello di Verona, rivolto alla Chiesa italiana il 19 ottobre 2006, l’insegnamento di Benedetto XVI continua a nutrirci. Forse sarà che quanto detto “a braccio” viene direttamente dal cuore del Pontefice (non che abbia più o meno valore magisteriale ovviamente), ma i discorsi rivolti ai vescovi svizzeri il 7 e il 9 novembre 2006, appunto non preparati per iscritto ma “detti” dal Papa e successivamente pubblicati, mi hanno impressionato per la loro “scioltezza” e contemporaneamente per il modo straordinario di dire cose serie e molto importanti in maniera semplice, comprensibile a tutti, senza inutili e dannose parole “cervellotiche”.

Il secondo dei due discorsi mi ha colpito in particolare e mi sembra utile riproporvene le parti più importanti.
La prima preoccupazione di un Papa non può essere altra che di custodire e trasmettere la fede ricevuta, come Gesù ha insegnato e richiesto a tutti i suoi apostoli e discepoli. In questo senso il pontefice ci offre una prima indicazione, riprendendo una frase di sant’Ignazio di Antiochia: «Il cristianesimo non è opera di persuasione, ma di grandezza» (Lettera ai Romani, 3,3). Questo significa, spiega Benedetto XVI, che non dobbiamo lasciarci “intrappolare” in tutte le competizioni morali in cui gli avversari della Chiesa vorrebbero coinvolgerci (anche se spesso è inevitabile e non ci si deve sottrarre a dibattiti, a scrivere articoli ecc. su argomenti morali). Il Papa dice di più e credo si riferisca soprattutto all’apostolato: non possiamo e non dobbiamo presentare il cristianesimo quasi fosse esclusivamente impegnato a difendere valori morali, pur fondamentali per la vita di una società, ma che vengono colti come moralistici dall’uomo comune di oggi. Dobbiamo invece, appunto, cercare di far emergere la “grandezza della fede”, e mostrare Dio, Logos e amor, come diceva sant’Agostino, immenso e disposto a diventare uomo, per salvare l’uomo.

La preghiera e i “gruppi di preghiera”

Ma come fare tutto questo? Moltiplicando le scuole di preghiera risponde il Papa, aumentando cioè le opportunità dove si possa imparare a pregare. Le scuole di preghiera sono molte e aumentano continuamente perché la gente sente questo bisogno e cerca risposte. Anni fa i “nuovi movimenti religiosi” conobbero un certo successo proprio perché in qualche modo cercavano di rispondere a queste richieste di silenzio e di pace, a questo bisogno di sacro che è presente in molti occidentali stanchi e disperati, ma assetati di assoluto. Oggi finalmente questa domanda comincia a trovare nelle comunità cristiane, anche se ancora faticosamente, la consapevolezza che la prima risposta di cui l’uomo ha bisogno è la consapevolezza che Dio, nella sua grandezza, ha un’attenzione amorosa verso ogni uomo. «Dobbiamo moltiplicare tali scuole di preghiera» ha detto il Santo Padre, perché nel silenzio della preghiera personale l’uomo incontra Dio e accetta di mettersi definitivamente al Suo servizio. Grazie a Dio tali scuole di preghiera, i cosiddetti “gruppi di preghiera”, esistono e si moltiplicano, sono il futuro e la speranza della Chiesa, anche se spesso non vengono apprezzati e considerati anche da molti sacerdoti. Eppure esistono come un fiume carsico e la loro silenziosa ma reale preghiera avvolge come in una rete la Chiesa intera, e in qualche modo la protegge e le dà forza. Chi ha avuto la possibilità di frequentarli sa quanto in essi si preghi per il Papa e spesso anche per il vescovo locale, che magari neppure sa della loro esistenza.
Accanto alla preghiera il Papa ricorda l’importanza della liturgia. La festa della fede, vissuta attraverso liturgie accurate, ben preparate, rispettose del testo liturgico: ma di questo avremo modo di parlare quando, sembra fra breve, sarà reso pubblico il documento sulla liturgia annunciato di Papa Ratzinger.
Naturalmente la preghiera non deve diventare una scusa per sottrarsi alla propria vocazione, se si è laici, di animare cristianamente l’ordine temporale, cioè di cercare di trasformare il mondo, a partire da se stessi, perché riconosca la signoria di Cristo.
Oggi, ha detto il Papa sempre ai vescovi svizzeri, la morale proposta dalla Chiesa viene accettata dalla società moderna quando parla di pace, non violenza, giustizia per i poveri e così mette in moto una vera e propria forza politica. Ma vi è un’altra parte della morale, che riguarda la vita e la famiglia, completamente disattesa. Il Papa sa di rivolgersi ai vescovi di una delle terre più secolarizzate d’Europa e sa anche di rivolgersi a comunità cattoliche assai refrattarie ad accettare i temi della morale sessuale e familiare proposti dal Magistero pontificio, in particolare cominciando dalla enciclica di Paolo VI Humanae vitae (1968) per continuare durante il pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005). Eppure, queste parole dovrebbero interpellare anche la parte cattolica del movimento pacifista italiano, affinché metta il diritto alla vita al centro della propria azione per la pace, che solo così potrebbe essere credibile: «…dobbiamo impegnarci per ricollegare queste due parti della moralità e rendere evidente che esse vanno inseparabilmente unite tra loro. Solo se si rispetta la vita umana dalla concezione fino alla morte, è possibile e credibile anche l’etica della pace; solo allora la non violenza può esprimersi in ogni direzione, solo allora accogliamo veramente la creazione e rispettiamo l’ambiente e solo allora si può giungere alla vera giustizia. Penso che in ciò abbiamo davanti un grande compito: da una parte non far apparire il cristianesimo come semplice moralismo, ma come dono nel quale ci viene dato l’amore che ci sostiene e ci fornisce poi la forza necessaria per saper “perdere la propria vita”; dall’altra, in questo contesto di amore donato, progredire anche verso le concretizzazioni, per le quali il fondamento ci è sempre offerto dal Decalogo che, con Cristo e con la Chiesa, dobbiamo leggere in questo tempo in modo progressivo e nuovo».




Maria auxilium cristianorum, ora pro nobis