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Associazione Benedetto XVI

Articolo di Enzo Bianchi sul Motu Proprio

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    00 12/07/2007 15:36
    Se il messale è una bandiera
    (La Repubblica, 8 luglio 2007)

    Molto atteso dai pochissimi cattolici "tradizionalisti" e molto temuto dai
    vescovi e dalle chiese locali, è stato promulgato, dopo molte dilazioni
    indicatrici di incertezze, il motu proprio
    Summorum Pontificum che
    "liberalizza" il rito della messa vigente prima della riforma liturgica.
    Preconizzato da più di un anno, ha destato grandi preoccupazioni e ha acceso
    un dibattito di grande qualità: conferenze episcopali, singoli vescovi,
    teologi e liturgisti hanno analizzato con spirito di pace e volontà di
    riconciliazione con i tradizionalisti scismatici i problemi e le derive che
    potrebbero inoculare contrapposizioni e ulteriori divisioni tra i cattolici.
    Sì, perché in questi quarant'anni del post-concilio, le chiese hanno
    percorso un lungo cammino, spesso faticoso, nell'attuazione della riforma
    liturgica, hanno registrato anche qua e là abusi e contraddizioni allo
    spirito dell'autentica liturgia cattolica ma, come ha affermato Giovanni
    Paolo II nel 1988, "questo lavoro è stato fatto sotto la guida del principio
    conciliare: fedeltà alla tradizione e apertura al legittimo progresso;
    perciò si può dire che la riforma liturgica è strettamente tradizionale,
    'secondo i santi padri'" (XXV annus n. 4). Di conseguenza, nel chiarire le
    possibilità offerte ai tradizionalisti Giovanni Paolo II precisava che "la
    concessione dell'indulto non è per cercare di mettere un freno
    all'applicazione della riforma intrapresa dopo il concilio (Udienza generale
    del 28.9.1990).

    Noi cattolici, ma per la convinzione profonda che il vescovo di Roma è il
    servo della comunione ecclesiale, obbediamo anche a prezzo di fatica, di
    sofferenza e di non piena comprensione di ciò che ci vien chiesto
    autorevolmente e che non contraddice il vangelo: siamo anche capaci di
    obbedienza pur dissentendo lealmente e con pieno rispetto. Questa obbedienza
    che vuole essere evangelica e "in ecclesia", richiede che ci esercitiamo a
    pensare e riflettere per capire maggiormente e per animare la comunicazione
    in vista di una comunione matura e salda, per fare di tutto affinché la
    chiesa non soffra di disordine e di ulteriori contrapposizioni: chi ha un
    vero sensus ecclesiae questo soprattutto teme!

    Dunque questo motu proprio deve essere accolto come un atto di Benedetto XVI
    teso a metter fine allo scisma aperto dai lefebvriani e alla "sofferenza" di
    altri pur restati in comunione con Roma. Il papa è consapevole che più
    passano gli anni, più le posizioni si induriscono, più ci si abitua allo
    scisma e si affievolisce il desiderio di una reciproca riconciliazione tra
    chiesa e scismatici. È in questa prospettiva che va compreso e accolto
    questo motu proprio, come dice la lettera personale del papa che lo
    accompagna: "fare tutti gli sforzi affinché, a tutti quelli che hanno
    veramente il desiderio dell'unità, sia reso possibile di restare in
    quest'unità o di ritrovarla nuovamente".

    Per questo il papa autorizza con liberalità la celebrazione della messa
    conformemente al messale detto di Pio V (riedito nel 1962 prima della
    celebrazione del concilio e perciò detto anche "di Giovanni XXIII") sicché
    ora "ogni sacerdote cattolico ... può usare o il Messale Romano promulgato
    nel 1962 dal B. Giovanni XXIII, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa
    Paolo VI nel 1970 ... senza alcun permesso, né della Sede apostolica, né del
    suo Ordinario". Si esce così dall'indulto concesso da Giovanni Paolo II nel
    1984 e ribadito nel 1988, perché allora si dava la possibilità di celebrare
    la messa detta di Pio V se il vescovo lo permetteva, mentre ora vi è la
    possibilità di celebrarla e il vescovo non può proibirla. La forma della
    messa di Pio V non è più dunque "eccezionale" ma "straordinaria", non è più
    una deroga alle regole ma permessa dalle regole. Scrive testualmente il
    papa: "Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è l'espressione ordinaria
    della 'legge della preghiera' ... tuttavia il Messale promulgato da Pio V
    ... deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa
    'legge della preghiera' ... Queste due espressioni sono due usi dell'unico
    rito romano".

    Ma per chi è stata promulgata questa nuova legislazione? La risposta non è
    semplice perché quanti chiedono la possibilità di praticare il messale di
    Pio V sono una galassia numericamente ridotta ma molto variegata. In tutto
    il mondo questi cattolici con sensibilità tridentina sono circa 300.000 con
    circa 450 preti, sul totale di un miliardo e 200 milioni di cattolici, e di
    essi circa la metà appartiene alla porzione scismatica dei seguaci di mons.
    Lefebvre. Nel motu proprio si pensa certo a questi ultimi - per quali,
    afferma la lettera, "la fedeltà al messale antico divenne un contrassegno
    esterno" - ma c'è attenzione soprattutto ai tradizionalisti in comunione con
    Roma, quelli legati al rito diventato per loro familiare fin dall'infanzia.

    Accanto a questi cattolici, scismatici o no, all'orizzonte affiorano anche
    giovani preti che vorrebbero ritornare all'antico rito e alcuni movimenti
    ecclesiali che auspicano una ripresa di un'identità fondamentalista
    cattolica; vi è poi un'appariscente deriva di confraternite e ordini
    cavallereschi vari che attendono di poter celebrare in latino per
    rinvigorire il loro folklore e ridare lustro alle loro livree medievali.

    Ma qui sorge una serie di domande che esigono una risposta evangelica e una
    responsabilità conforme al sensus ecclesiae da parte di tutti: vescovi,
    presbiteri, fedeli cattolici. Non è che questi gruppi si nascondano dietro i
    veli della ritualità post-tridentina per non accogliere altre realtà assunte
    oggi dalla chiesa, soprattutto attraverso il concilio? Il messale di Pio V
    non rischia di essere il portavoce di rivendicazioni di una situazione
    ecclesiale e sociale che oggi non esiste più? La messa di Pio V non è per
    molti una messa identitaria, preferenziale e dunque preferita rispetto a
    quella celebrata dagli altri fratelli, come se la liturgia di Paolo VI fosse
    mancante di elementi essenziali alla fede? C'è oggi troppa ricerca di segni
    identitari, troppo gusto per le cose "all'antica", soprattutto in certi
    intellettuali che si dicono non cattolici e non credenti e misconoscono il
    mistero liturgico. E ancora, perché alcuni giovani che non sono nati
    nell'epoca post-tridentina e non hanno mai praticato come loro messa
    "nativa" quella pre-conciliare, vogliono un messale sconosciuto? Cercano
    forse un messale lontano dal cuore ma praticato dalle labbra? E se la
    celebrazione della messa risponde alle sensibilità, ai gusti personali,
    allora nella chiesa non regna più l'ordo oggettivo, ma ci si abbandona a
    scelte soggettive dettate da emozioni del momento. Non c'è forse il rischio,
    in questo soggettivismo, di incoraggiare ciò che Benedetto XVI denuncia come
    obbedienza alla "dittatura del relativismo"?

    E perché coloro che chiedono il rito di Pio V si sentono i "salvatori della
    chiesa romana"? Salvatori rispetto a cosa? A un concilio ecumenico
    presieduto dal vescovo di Roma? Perché assicurano: "Vinceremo ... tutta la
    chiesa tornerà all'antica liturgia!"? Questo non è un cammino di
    riconciliazione e di comunione, ma di rivincita, di condanna dell'altro, di
    rifiuto di riconoscere le colpe rispettive... Sì, c'è il timore che si
    risvegli nella chiesa una serie di rapporti di forza in cui c'è chi perde e
    chi guadagna. Ma questo risponde più a un'ottica mondana che a un'ottica
    evangelica!

    Ogni cattolico - anche chi come me può testimoniare con gioia per averlo a
    lungo praticato che il messale di Pio V lo ha fatto crescere nella fede,
    nell'intelligenza eucaristica e nella vita spirituale e lo sente come un
    monumento liturgico, un'architettura rituale capace di far vivere la
    comunione diacronica di tutta la chiesa - deve interrogarsi per non lasciare
    spazio a forme di idolatria e, con il cardinale Ratzinger, "ammettere che la
    celebrazione dell'antica liturgia si era troppo smarrita nello spazio
    dell'individualismo e del privato e che la comunione tra presbitero e fedeli
    era insufficiente". Sì, nessun idealismo né sul messale né sulla sua pratica
    e non sia un messale a far guerra all'altro messale, perché così si sfascia
    la chiesa.

    Mons. Fellay (il successore di Lefebvre alla guida della Fraternità San Pio
    X ) ha
    dichiarato che "la liberalizzazione del messale di Pio V provocherà una
    guerra nella chiesa con una deflagrazione pari a quella della bomba
    atomica". Sono parole gravi, ma che ci fanno restare vigilanti! Né si
    dimentichi che è sempre stato ed è tuttora possibile celebrare in latino:
    non è una questione di lingua, perché anche il messale di Paolo VI è in
    latino e in esso è confluito, seppur riformato, il messale di Pio V.

    Benedetto XVI scrive nella lettera che d'ora innanzi non ci sono due riti ma
    "un uso duplice dell'unico e medesimo rito" e tuttavia non si possono tacere
    le differenze: tra un "uso" e l'altro ci saranno letture bibliche sempre
    diverse, si vivranno i tempi liturgici in modo diverso, con feste del
    Signore e dei santi in date diverse; con il messale di Pio V si sarà
    autorizzati a pregare in modo non conforme all'insegnamento ecumenico del
    Vaticano II, così si pregherà per "eretici e scismatici perché il Signore li
    strappi da tutti i loro errori", mentre per gli ebrei si userà l'espressione
    "popolo accecato". Cosa significherà questo nei rapporti ecumenici con le
    chiese e con gli ebrei?

    Sì, verificheremo cosa accadrà nella chiesa e come crescerà o sarà
    contraddetta la comunione. Sarà determinante l'azione dei vescovi, ai quali
    "spetta salvaguardare l'unità concorde, vissuta nelle celebrazioni della
    diocesi" (Sacr. Car. 39). La stragrande maggioranza dei vescovi e intere
    conferenze episcopali nazionali e regionali, anche italiane, hanno
    manifestato la loro opposizione a questo provvedimento, ma ora
    nell'obbedienza e per amore della chiesa dovranno discernere come
    compaginare la comunione che è sempre innanzitutto comunione liturgica. I
    vescovi non smettano di chiedere a quanti vogliono praticare la messa di Pio
    V un'accettazione del concilio e della sua riforma liturgica come legittima
    e conforme alla verità e alla tradizione cattolica: le espressioni possono
    essere diverse, ma uno è il vescovo e il presbiterio attorno a lui. L'unità
    non può essere realizzata a qualsiasi prezzo, né a prescindere dall'autorità
    del vescovo in comunione con il papa. Il viaggio della barca della chiesa
    non è ancora giunto al suo termine e nessun porto può diventare una meta, ma
    solo un luogo di sosta e di transito: anche il messale di Pio V, anche
    quello di Paolo VI... C'è ancora un altro domani anche per la forma della
    liturgia.

    Enzo Bianchi
    Comunità di Bose
    www.monasterodibose.it
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    SetteOttobre
    Post: 271
    Città: GUBBIO
    Età: 53
    Sesso: Femminile
    00 12/07/2007 16:56
    Ma Enzo Bianchi lo ha letto bene il motu proprio? E soprattutto: ha letto bene la lettera di accompagnamento indirizzata ai vescovi di tutto il mondo? Probabilmente no!!!Avrebbe trovato tutte le risposte ai suoi banali e retorici interrogativi,dato che il Santo Padre non ha tralasciato nulla.Per fortuna il Papa non è lui ma Benedetto XVI,uomo veramente illuminato!!!!!!



    Maria auxilium cristianorum, ora pro nobis

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    gigiolo71
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    Città: GUBBIO
    Età: 52
    Sesso: Maschile
    Il Presidente
    00 13/07/2007 16:04
    [SM=g8180] [SM=g8180] [SM=g8180]


    Scrive l'ecumenico Enzo Bianchi:

    "con il messale di Pio V si sarà
    autorizzati a pregare in modo [SM=g8180] non conforme [SM=g8180] all'insegnamento ecumenico del
    Vaticano II"


    Questa frase da sola basta a far comprendere il grado di ignoranza e malafede in cui è incorso il Nostro. In primo luogo: VOGLIAMO SAPERE QUALI TESTI DEL CONCILIO VATICANO II AUTORIZZANO A FARE UN'AFFERMAZIONE DEL GENERE. Non è più tollerabile che si tiri in ballo il Concilio senza nemmeno indicare uno straccio di testo a sostengo della nefasta tesi che si vuole sostenere. O forse il Nostro voleva far riferimento al fantasmagorico "spirito del Concilio"? Cioè quell'eresia secondo la quale l'insegnamento del Vaticano II non starebbe nei testi canonicamente approvati, ma nello spirito che avrebbe ispirato i padri al di là dei testi che hanno prodotto. In secondo luogo: Benedetto XVI avrebbe promulgato un motu proprio che autirizza i fedeli a pregare in modo difforme all'isegnamento solenne di un Concilio di Santa Romana Chiesa? Quindi più che un pastore attento al bene del suo gregge sarebbe un cieco che guida altri ciechi? Bisognerebbe allora diffidare da un simile pastore e ascoltare invece la voce più mite, ecumenica, aperta, dialogante, suadente, rassicurante del vero buon pastore Enzo di Bose? Ma forse, a questo proposito, sarà bene riflettere sulle parole di Gesù: Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete...
    Benedetto XVI ci ha chiesto di pregare per lui affinché non fugga per paura davanti ai lupi. Evidentemente le nostre preghiere hanno fatto effetto se, nonostante l'opposizione dura che il motu proprio ha incontrato - e che lo stesso Bianchi riconosce - il Papa ha deciso ugualmente di pubblicarlo.
    Infine vorrei sottolineare che Enzo Bianchi è l'ultimo a porter parlare "senza pregiudizi" sul motu proprio. Solamente due giorni prima che venisse annunciata la sua pubblicazione, con la sucumera caratteristica di chi crede di sapere lui solo qual è il vero bene della Chiesa, sempre dalle colonne di Repubblica (che giornale prestigioso, tra l'altro, per un sacerdote cattolico) rassicurava i timorosi con parole nette e decise: "Il Santo Padre non liberalizzerà la Messa di San Pio V". Che profeta! [SM=g8161] [SM=g8161] [SM=g8161]
    NON PRAEVALEBUNT!!!
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    Bene
    Post: 419
    Sesso: Femminile
    00 13/07/2007 20:09
    Bravo Gigiolo! [SM=g8149] ...e non dimentichiamo...


    Tutto ciò che da Noi è stato stabilito con questa Lettera Apostolica data a modo di Motu proprio, ordiniamo che sia considerato come “stabilito e decretato” e da osservare dal giorno 14 settembre di quest’anno, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, nonostante tutto ciò che possa esservi in contrario.
    [Modificato da Bene 13/07/2007 20:09]
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