MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM"

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gigiolo71
00martedì 10 luglio 2007 21:58
Le riflessioni e le varie posizioni dei membri dell'associazione

Gaudet Mater Ecclesia

Cari amici dell'associazione,
finalmente il Santo Padre ha pubblicato l'attesissimo motu proprio per la liberalizzazione del rito tridentino. So benissimo che ci sono diverse sensibilità all'interno dell'associazione verso la messa tridentina. Ci sono alcuni che ancora stanno brindando e intonano ogni giorno il TE DEUM regale. Altri, più serenamente, credono che sia un provvedimento da guardare con interesse ma senza entusiasmi eccessivi.
Invito tutti a leggere attentamente la lettera che il Santo Padre ha scritto a tutti i vescovi del mondo per spiegare le ragioni che lo hanno spinto a produrre il motu proprio. Lì troverete risposta a molte delle domande che, nei lunghi giorni di attesa, ci siamo un po' tutti posti. Per quanto riguarda il nostro atteggiamento di fronte alla liberalizzazione della messa tridentina, mi sento di condividere con voi alcune riflessioni.

1) E' chiaro che ogni cattolico degno di questo nome deve ormai fare proprie le nuove direttive emanate dal Papa. In particolare, dobbiamo abiutarci a non parlare di due riti (quello tridentino e quello di Paolo VI), ma di un unico RITO ROMANO che si può celebrare attraverso due forme (ordinaria - messale Paolo VI; straordinaria - messale del 1962 di Giovanni XXIII). Nessuno osi svilire o disprezzare l'una o l'altra modalità di celebrazione. Al messale del 1962 va riservato onore e rispetto, come afferma lo stesso Papa. Allo stesso modo, non è giusto svilire o ignorare le ricchezze contenute nel messale di Paolo VI (se celebrato come Dio comanda - e non con abusi al "limite del sopportabile" - parole del Papa - come a volte si è visto fare).

2) I membri dell'associazione legati al messale del 1962 devono guardarsi bene, a mio avviso, dall'avallare qualunque possibile contrapposizione fra i due tipi di celebrazione. Un conto è esaltare i tesori di grazia e di sacralità presenti nella messa tradizionale, altra cosa è cadere nel rischio di considerarla l'unica messa vera o di serie A. Mi sembra comunque che su questo aspetto non si rilevino, all'interno dell'associazione, rischi di alcun genere.

3) Coloro che si sentono legati al messale di Paolo VI, non devono assolutamente cadere nell'errore di considerare questa epocale svolta di Benedetto XVI un salto indietro nel passato, una concessione fatta agli inguaribili nostalgici della Chiesa che non c'è più o, peggio, una sorta di legittimazione dello scisma lefebvriano. Chi ama la liturgia del 1962 non è assolutamente un anticoncilare, un rinnegatore del Vaticano II o un eretico lefebvriano. Anche su questo, comunque, mi sembra che abbiamo tutti le idee abbastanza chiare.

4) L'associazione non è vincolata a nessuna delle due forme di celebrazione - straordinaria o ordinaria - che sono entrambe amate e accolte. Questo non toglie che l'associazione non può che guardare favorevolmente a un ritorno della messa tradizionale anche nel nostro territorio (visto anche il discreto numero di soci che vogliono muoversi in questa direzione). Potremo anche diventare, sentito il parere di tutti i soci, un valido referente per poter concordare con il nostro vescovo la modalità più idonea, alla luce delle nuove norme emanate da Benedetto XVI, per venire incontro alle richieste dei fedeli (non necessariamente legati all'associazione) che vogliono nutrirsi delle immense ricchezze presenti nella liturgia tradizionale.

5) Molti dei soci mi hanno personalmente espresso il desiderio di studiare e conoscere più profondamente la messa celebrata secondo il messale del 1962, per arrivare ben preparati al prossimo 14 settembre (data dell'entrata in vigore delle nuove norme sulla liturgia). Ritengo quindi opportuno, per coloro che lo vorranno, iniziare una serie di incontri su questo tema (vacanze permettendo!).

Cari amici, ho voluto condividere con voi quelle che mi sembrano essere le linee essenziali che la nostra associazione potrà adottare in questo momento storico che, malgrado le diverse sensibilità, non possiamo non vivere con una profonda attenzione. Quello che ho scritto l'ho scritto a carattere esclusivamente personale. Non ho voluto in alcun modo vincolare l'associazione. Ho solo iniziato a proporre una linea di condotta. Il tutto è ovviamente vincolato al parere dei soci e, soprattutto, è aperto a qualunque contributo
.

Con amicizia e affetto.
In Cristo,
Luigi Girlanda
(presidente dell'Associazione culturale "Benedetto XVI")

SetteOttobre
00mercoledì 11 luglio 2007 10:43
Il Santo Padre è sempre lo stesso:ieri e oggi!

"Per una retta presa di coscienza in materia liturgica è importante che venga meno l'atteggiamento di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970. Chi oggi sostiene la continuazione di questa liturgia o partecipa direttamente a celebrazioni di questa natura, viene messo all'indice; ogni tolleranza viene meno a questo riguardo. Nella storia non è mai accaduto niente del genere; così è l'intero passato della Chiesa a essere disprezzato. Come si può confidare nel suo presente se le cose stanno così? Non capisco nemmeno, ad essere franco, perché tanta soggezione, da parte di molti confratelli vescovi, nei confronti di questa intolleranza, che pare essere un tributo obbligato allo spirito dei tempi, e che pare contrastare, senza un motivo comprensibile, il processo di necessaria riconciliazione all'interno della Chiesa", Joseph Ratzinger, da Dio e il mondo, Edizioni Paoline, 2001, p. 380.

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SetteOttobre
00mercoledì 11 luglio 2007 10:48
Il Santo Padre è sempre lo stesso:ieri e oggi! 2
In una parte dei liturgisti moderni c'è purtroppo la tendenza a sviluppare i princìpi del Concilio in una sola direzione, rovesciando così gli intendimenti stessi del Concilio. [...] C'è poi una pericolosa tendenza a minimizzare il carattere sacrificale della Messa e ad indurre alla sparizione del mistero e del sacro con il pretesto - un pretesto asserito imperativo - che in questo modo ci si fa comprendere meglio. Infine si percepisce la tendenza a frammentare la liturgia, mettendo arbitrariamente in rilievo il suo carattere comunitario. [&] Le diverse comunità che sono sorte grazie al documento pontificio hanno dato alla Chiesa un gran numero di vocazioni sacerdotali e religiose che con zelo, in letizia e in stretta unione con il Papa, hanno offerto il loro servizio alla Chiesa in questo nostro attuale periodo storico, Joseph RatzingerA dieci anni dal Motu proprioEcclesia Dei, Roma 24 ottobre 1998. Conferenza, tenuta presso l'Hotel Ergife, in occasione delle celebrazioni per i dieci anni del Motu proprio "Ecclesia Dei", traduzione dall'originale francese tratta dal Notiziario n. 126-127 di UNA VOCE, Associazione per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana, pp. 4-7.

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SetteOttobre
00venerdì 13 luglio 2007 13:07
Non è bellissimo?


SetteOttobre
00venerdì 13 luglio 2007 18:15
Nella chiesa della Misericordia da 15 anni la messa è come nel 500: anche per tanti giovani

E Torino prega col rito antico "Così ci si sente più vicini a Dio"

PAOLO GRISERI

TORINO - Un cerchietto sui capelli biondi, una coda di cavallo, un velo. Pochi, pochissimi capelli bianchi. Sono un centinaio le persone rivolte all´altare. Davanti a tutte, la stola verde del sacerdote che officia guardando il tabernacolo. Quello della messa «secondo il messale di S. Pio V» è un rito di schiene che voltano le spalle al mondo, unicamente orientate verso dio. Un rito che pareva desueto, sostituito nei tg dalle centinaia di spalle orientate verso la Mecca nella preghiera del venerdì. Un rito che torna oggi d´attualità, con il fascino delle madeleinette proustiane. La signora con il vestito azzurro entra trafelata e confessa all´amica: «Vedi com´è bello? Mi ricorda quand´ero bambina».
C´è il carisma del mistero nei canti gregoriani che accompagnano l´organo a canne e nella cantilena salmodiata del «Kyrie eleison». Un fascino del tempo che fu, da Italia degli anni ´60, quella che ritorna in questi giorni negli spot per il lancio della 500. C´è un popolo «alla ricerca di quel che non è cambiato», come dice Beppe, un ragazzo di 25 anni che da sei ha scoperto il tesoro nascosto nella piccola chiesa del centro torinese. La chiesa della Misericordia, dove, nell´800, il beato Cafasso consolava i condannati a morte prima di accompagnarli verso la forca. Si ritrova qui, da 15 anni, il popolo della messa in latino. Non un gruppo di scismatici lefebriani: una piccola folla di cattolici fedeli all´ortodossia, autorizzati dall´arcivescovo. Soprattutto un popolo di giovani: «Ho scoperto il fascino del rito latino quasi per caso», racconta Giovanni, di mestiere elettricista. «Fino all´età di 28 anni ho sempre frequentato la messa in italiano. Quando un amico mi ha portato qui, non ho più smesso». Qual è la differenza? Un puro piacere estetico? «All´inizio c´è sicuramente il fascino di un rito antico. Poi ti fai prendere da una forza straordinaria che ti avvicina di più a dio».
Tra i banchi della Misericordia, tra le donne che seguono il rito sul messale con le pagine dai bordi dorati, il motu proprio di Benedetto XVI è il riconoscimento alle vergini sagge del Vangelo, quelle che seppero tenere acceso il lume anche durante gli anni bui. Per Calogero Cammarata, ex impiegato statale e baby pensionato, è il coronamento di una missione. Lui con l´associazione Inter multiplices, una vox ha lavorato sodo per tenere accesa la fiammella: «L´ho deciso un giorno, uscendo disgustato da una messa in cui i tamburi accompagnavano i canti dietro l´altare». Ora si gode il successo e contrattacca: «Traducendo il testo latino si sono persi contenuti importanti del rito di San Pio V». Pio V, il papa odiato dal popolo di Roma per le persecuzioni sanguinarie degli eretici. Un giovane pastore di pecore ad Alessandria che succede a Pietro, batte i turchi a Lepanto e approva il messale tridentino che rimarrà praticamente intatto per quattro secoli.
Colpisce la voglia di continuità del popolo del latino. Stupisce anche don Sebastiano Galletto, il sacerdote che oggi officia tra i turiboli fumanti d´incenso bisbigliando sottovoce il rito della consacrazione: «Io sono solo un sostituto e personalmente preferisco il rito in italiano. Ma c´è in questi fedeli la ricerca di una spiritualità particolare, la spiritualità delle radici». Le radici, la ricerca di ciò che non muta nei millenni. Proprio come recita il Gloria, cantato con convinzione tra i banchi della chiesa torinese: «Sicut erat in principio, et nunc et semper in saecula saeculorum. Amen».

© Copyright Repubblica, 9 luglio 2007
Bene
00venerdì 13 luglio 2007 18:29
Re: Non è bellissimo?
SetteOttobre, 13/07/2007 13.07:







Sembra S. Ubaldo! [SM=g8298]

IlTimone
00venerdì 13 luglio 2007 18:45
SetteOttobre
00sabato 14 luglio 2007 13:08
Gibson e il rito straordinario
Cari amici leggete questo articolo anche se è un pò lungo,ci sono notizie interessantissime!!!!!!



Dove Gibson faceva il chierichetto alla messa in latino

Di Rodari (del 07/07/2007 @ 13:02:39, in il Riformista, linkato 124 volte)

«Chi fu dunque il primo imbecille a dire che il latino è una lingua morta? Non lo sapremo mai, sappiamo solo che appartiene a una famiglia che non conosce estinzione».
Parole di Léon Bloy, scrittore, saggista e poeta francese, spesso definito come un integralista religioso anche se forse sarebbe più corretto dire che fu semplicemente un convertito cattolico profondamente devoto, uno di quelli che proprio perché ha trovato dove sta di casa lAssoluto, continua sempre a cercarlo e di questa ricerca mista a devozione ne fa larchitrave della propria esistenza.
Léon Bloy, talmente tranchant nella sua fede, che è probabilmente anche per questo motivo che molti cattolici, ancora oggi, lo amano.
Tra questi, i cattolici definiti - anche qui con molta approssimazione - tradizionalisti o anche ultra-conservatori, quelli, insomma, che pur senza arrivare agli eccessi tipici - tanto per fare un esempio - degli scismatici lefebvriani, si ritrovano, si sentono compresi solo in una Chiesa che vive lessenza della propria manifestazione, la liturgia, secondo le regole e le norme dellantico rito, quello stesso rito che si serve di un Messale, quello di san Pio V rivisto nel 1962 da Giovanni XXIII, che questoggi papa Ratzinger andrà a liberalizzare rendendo pubblico il Motu Proprio Summorum Pontificum.

La storia di padre Kramer
Tra questi cattolici, padre Kramer e i preti della sua Fraternità San Pietro.
Abitano a Roma, in pieno centro storico, in via Leccosa.
È unantica strada medievale, che disegna un semicerchio che parte da piazza Nicosia, dietro Lungotevere Marzio, e finisce in via di Ripetta.
A metà semicerchio, un piccolo viottolo cieco (per la toponomastica è sempre via Leccosa) va a sbattere contro una casa.
In fondo al viottolo, una piccola chiesa completamente inglobata allinterno di un palazzo: è San Gregorio dei Muratori, edificata nei primi anni del 500 da un gruppo di manovali, scalpellini, statuari e scultori di bassorilievi. Erano dei lavoranti provenienti dal varesotto, dal comasco e dal bergamasco i quali, oltre a lavorare da mattina a sera per i grandi scultori e architetti dellepoca (tra questi Bernini), avevano fondato una Confraternita (a tuttoggi ancora esistente) nella quale si davano a vicenda ogni sorta di aiuti spirituali: catechismo e preparazione per i sacramenti, viatico per i morenti, funerale e sepoltura con messe di suffragio (la grande lastra della tomba comune si vede ancora nel pavimento), nonché lassistenza ai confratelli malati e il mantenimento delle vedove e degli orfani di quelli defunti.
Quando a padre Joseph Kramer venne comunicato, pochi anni fa, che sarebbe stata quella la chiesa nella quale lui e i pochi sacerdoti membri del distaccamento italiano della Fraternità di San Pietro avrebbero potuto celebrare la messa in latino seguendo lantico rito (la comunità ha usufruito per anni dellindulto concesso, previo permesso del vescovo della diocesi, dalle disposizioni del Motu Proprio Ecclesia Dei adflicta del 2 luglio 1988), pensò a un segno del cielo: «Dio ci vuole qui, pur nascosti e quasi introvabili, ma comunque presenti in una Roma che non conosce quasi più lantica usanza della messa spalle al popolo».

La versione del 1962
E in effetti, anche una parte del clero romano, come una parte del clero mondiale, non solo ha dimenticato regole e procedure dellantico rito, ma addirittura lo ritiene inutile, vetusto, per non dire medievale.
Ma non così papa Ratzinger che questoggi, con uniniziativa a lungo osteggiata da una parte delle gerarchie ecclesiastiche perché ritenuta un passo di esagerata apertura verso le comunità cattoliche più tradizionaliste, pone in essere, tramite un Motu Proprio (unazione che spetta a chi ne ha le facoltà), la completa liberalizzazione del Messale rivisto nel 1962 da papa Giovanni XXIII (non dunque la prima versione redatta da papa Pio V che conteneva la preghiera del venerdì santo pro perfidis iudeis ritenuta, chissà perché, antisemita: in verità perfidis significa senza fede e non altro).
Una liberalizzazione, quella del papa, che permette a qualsiasi fedele, purché appartenete a «un gruppo stabile» di assistere alla messa antica, con sacerdote che celebra spalle al popolo e coi fedeli che, insieme al sacerdote, guardano oltre il celebrante stesso, verso Oriente, verso il Sole che sorge, verso Colui che viene, come inglobati allinterno di un unico e solo sguardo.

Una nuova Fraternità
Padre Kramer - dicevamo - ha vissuto laffidamento della piccola chiesa di San Gregorio dei Muratori come un segno del cielo.
Un segno arrivato parecchi anni dopo il suo arrivo a Roma. Arrivò nel 1977 dallAustralia dove, dopo un periodo di permanenza in una comunità di carmelitani, abbandonò la fede a motivo della proibizione di partecipare alla messa secondo lantico rito.
Erano gli anni 70, anni del post concilio Vaticano II, anni in cui una certa parte di Chiesa ritenne opportuno rompere con la tradizione passata - tutta la tradizione, liturgia compresa - nel nome di una lettura intra mondana dello stesso concilio.
Insomma, non cera posto per chi, come padre Kramer, si sentiva edificato soltanto dallantica liturgia, una celebrazione meno teatrale, più rispettosa del silenzio e del non coinvolgimento emotivo dei fedeli.
Silenzio e compostezza, solitudine e riservatezza: una liturgia ristretta entro regole precise e la cui forza resta tutta nel porsi prima dogni possibile stato danimo, sentimento di chi vi partecipa.
Una forza che - si potrebbe dire forse esagerando un po - viene prima anche della stessa fede di chi vi partecipa: ciò che conta è stare e guardare, silenzio e visione, staticità e coinvolgimento.
Non trovava il proprio posto, padre Kramer, in una fede che negasse la partecipazione allantica messa e quando, nel 1990, dopo 13 lunghi anni di buio spirituale, conobbe padre Jospeh Bisick e la sua Fraternità (quella di San Pietro) fondata nel 1988 presso lAbbazia di Hauterive (Svizzera) da una dozzina di sacerdoti e una ventina di seminaristi scappati da monsignor Marcel Lefebvre appena prima che questi ponesse in essere il suo scisma a causa dellordinazione di alcuni vescovi senza il permesso di Roma (di papa Wojtyla e del cardinal Ratzinger in particolare), gli sembrò di sognare. «Possibile?», si chiese. «Esistono davvero dei preti che possono celebrare lantico rito e nel contempo essere riconosciuti da Roma? E nel contempo potersi dire parte della Chiesa di Roma?».

Lamico Ratzinger
Esistevano davvero, tanto che già pochi mesi dopo il 1988, il cardinale Ratzinger concesse loro (alla Fraternità san Pietro), oltre alla possibilità della celebrazione in latino e spalle al popolo anche una casa in Wigratzbad (Germania).
Una casa preludio di altre (oggi la Fraternità ha circa 200 sacerdoti e 120 seminaristi), tra le quali una negli Usa (nel Nebraska) e unaltra, quella romana, di cui padre Kramer divenne responsabile (lo è ancora oggi) poco tempo dopo essere stato ordinato prete.
Tutto il resto, per padre Kramer, è cronaca di anni passati a vivere in un piccolo appartamento di via Leccosa tra ore di studio, di convivenza coi confratelli e di celebrazione della messa antica grazie allindulto - da oggi non più necessario  previsto nel Motu Proprio Ecclesia Dei adflicta.
Anni di incontri con tanti fedeli di Roma e non, i quali, anche loro con molta discrezione (quasi con silenzio), ogni mattina alle sette partecipavano (e partecipano) alla messa in latino e spalle al popolo della comunità.
Tutto nella chiesa di via Leccosa: cinquanta metri quadrati di pietre medievali, bassorilievi raffinati, preti coperti da lunghi piviali chiusi sul petto con raffinati fermagli, musica sacra, incenso e profumi.

La fede di Mel
Tra questi fedeli, molta aristocrazia romana, qualche rara volta la principessa Alessandra Borghese, una volta anche la principessa Gloria Thurn und Taxis con tanto di famiglia al seguito.
E poi tanti nobili che chiedono anonimato e discrezione. Infine una celebrità: Mel Gibson.
Ai tempi delle riprese romane di The Passion, padre Kramer aveva incaricato un altro prete, padre Roux, di celebrare per lui ogni giorno a San Gregorio dei Muratori la messa con lantico rito. «Mel - spiega padre Kramer - si vestiva sempre da chierichetto, con tanto di talare e cotta». Arrivava ogni giorno puntuale in via Leccosa e si tirava dietro gran parte del cast di The Passion. La sera, spesso si fermava a cena con padre Kramer e con lui parlava della teologia della crocifissione, della modalità giusta di rappresentare la morte di Cristo. «La fede di Gibson - spiega padre Kramer - sembrava quasi appartenere a una sorta di devotio moderna nellepoca post moderna: la dedizione a Dio in lui era assoluta, tutta tesa allinteriorizzazione spirituale della vita e della passione di Cristo. Quasi una ri-rappresentazione continua della sua sofferenza, come facesse parte ancora dei movimenti dei flagellanti del tredicesimo secolo».
Ben poco a che vedere con lantico rito, certo, eppure quello stesso antico rito trovava e trova in Gibson come in tante altre personalità un terreno in cui entrare.
«Forse - spiega padre Kramer - è la solennità e insieme la discrezione della celebrazione che attira con forza le persone che sentono la necessità di una spiritualità interiore e insieme oggettiva, mistica e al contempo ben regolarizzata, scandita da norme precise e sempre fedeli a loro stesse».

Guardare è tutto
«Cè - dice padre Kramer - chi dellantico rito ama la non invasività. Il lasciare libero chi vi partecipa di vivere lintera liturgia con la partecipazione che ritiene opportuna. Cioè: seguendo regole precise, ognuno può maturare un suo rapporto col mistero senza forzature. La conoscenza della lingua latina, tra laltro, non è necessaria. Si possono benissimo ripetere delle formule senza conoscerne pienamente il senso e soltanto quando uno sente la necessità di capire di più, allora verrà aiutato a comprendere ciò che non capisce. Ma il centro della liturgia resta il guardare. Prima guardare e grazie al guardare comprendere. Beninteso, io non sono per nulla contro il nuovo rito. Sono soltanto un sacerdote che trova più vicina alla propria sensibilità lantica celebrazione».
Più o meno il pensiero espresso dallattuale pontefice nel 2001, in Dio e il mondo: «Per una retta presa di coscienza in materia liturgica - scrisse - è importante che venga meno latteggiamento di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970. Chi oggi sostiene la continuazione di questa liturgia o partecipa direttamente a celebrazioni di questa natura, viene messo allindice; ogni tolleranza viene meno a questo riguardo. Nella storia non è mai accaduto niente del genere; così è lintero passato della Chiesa a essere disprezzato. Come si può confidare nel suo presente se le cose stanno così? Non capisco nemmeno, ad essere franco, perché tanta soggezione, da parte di molti confratelli vescovi, nei confronti di questa intolleranza, che pare essere un tributo obbligato allo spirito dei tempi, e che pare contrastare, senza un motivo comprensibile, il processo di necessaria riconciliazione allinterno della Chiesa».

Gli abusi moderni
Quanto allintolleranza di molti confratelli vescovi, una simpatica panoramica viene fornita sul sito web dallassociazione Una Voce (www.unavoce-ve.it). Lassociazione, che si propone di salvaguardare la liturgia tradizionale della Chiesa cattolica e del canto gregoriano, presenta una variegata carrellata di foto di diversi presuli e porporati intenti a praticare (come se niente fosse) variegati abusi liturgici. Cè il vescovo che festeggia i santi Lutero, Gandhi e Martin Luther King. Quello che in chiesa propone un corso di danza liturgica. Quellaltro che serve leucaristia (proprio lei) su una tavola apparecchiata con piatti e bicchieri. E ancora, i preti pagliaccio e quelli vestiti da maghi. Il cardinale che celebra mascherato (poveretto, in qualche modo doveva pur festeggiare il carnevale) e il sacerdote che predica seduto su una sedia a sdraio con tanto di occhiali da sole.
Certo, si tratta soltanto di alcune sporadiche derive. Ma è anche contro queste, oltre che per ribadire che il rito antico nessuno nella chiesa lo ha mai abolito, che papa Ratzinger oggi inscena uno dei colpi più importanti dei suoi due anni e mezzo di pontificato: il ritorno del Messale romano dellanno 1962, quarto anno di pontificato di Giovanni XXIII, primo anno dei lavori del concilio Vaticano II.
ottosettembre
00venerdì 20 luglio 2007 12:42
tutte belle citazioni, illuminanti anche, ma i soci dell'Associazione? come commentano?

il mio pensiero lo conoscete, ma forse è meglio che lo scrivo per evitare fraintendimenti: non sono contrario, anzi sono a favore di questo rito per il suo valore antico e per la sua importanza storica, per la sacralità e il "misticismo" forte che la lingua ufficiale della Chiesa (il Latino) trasmette, oltre che è anche il rito col quale fino al '70 la Chiesa ha decretato tutti i Santi. Un contatto quindi col passato che torna ad avere un suo ruolo nella liturgia. E' un rito a noi nuovo, dove per fortuna non si assiste alla gara della suoneria piu' alla moda durante la messa e alle competizioni fanciullesche tra i banchi e le navate, o al pettegolezzo in fondo vicino all'uscita, e al concertino di improvvisati saltinbanco...


Non ritengo invece che sia il punto cardine dal quale risollevare le sorti di una fede generale tiepida e in molti casi persa.
Puo' semmai avere un ruolo forte in quei cristiani che si sentono più rinvigoriti nella fede, e tanta fede in piu' è sicuramente gradita a Dio, il quale ne terrà conto con le dovute grazie che riterrà di elargire. Il fatto che il rito tridentino sia stato "rinfrescato" alla memoria colettiva è già un episodio positivo, che sicuramente muoverà curiosi, latinisti, benpensanti e critici, ma anche fedeli e cristiani vogliosi di scoprire le origini della Santa Messa.

sono a favore, con la mia moderazione però, che mette in guardia dal non fare del rito tridentino il sostituto dell'attuale liturgia.
come si è detto in qualche riunione fà, ET ET!

Poi Domenica vado a Rimini a vedere il rito [SM=g8090]
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