LA QUESTIONE LITURGICA

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SetteOttobre
00lunedì 3 dicembre 2007 18:14
Dossier: Quarant'anni dopo. Il Concilio Ecumenico Vaticano II

La questione liturgica

Autore: Don Claudio CRESCIMANNO


Il primo documento approvato dai Padri del Vaticano II è la “Sacrosantum Concilium” (SC), la costituzione sulla riforma della liturgia.
Mentre infatti riguardo ad altre materie la discussione si prospettava faticosa e quindi l’iter di produzione del documento corrispondente non poteva che essere ancora lungo, l’intervento conciliare sulla liturgia veniva da sé come il frutto maturo del benemerito movimento liturgico che nei decenni precedenti aveva già elaborato quei principi che sarebbero poi confluiti nella SC, e che già aveva in certo modo ispirato gli interventi di san Pio X sul breviario e sul canto sacro, e del venerabile Pio XII nella “Mediator Dei” e nella riforma dei riti della Settimana santa.
Sulla scia di questo ampio lavoro preparatorio, i Padri conciliari affermano la grandezza del culto cattolico ( non. 6-8); ne ribadiscono la centralità nella vita della Chiesa (n. 10) e dei singoli fedeli ( non. 11,30 e 48) per i quali chiedono la possibilità di una partecipazione più attiva e consapevole ( non. 30-31, 48 e 100); deliberano di procedere ad una prudente innovazione dei riti nel solco della tradizione, modificando solo ciò che si comprende essere strettamente necessario modificare (n. 23); prescrivono un più ampio e congruo rapporto tra liturgia e sacra Scrittura ( non. 24,51 e 92); riaffermano il valore dell’uso della lingua latina e lo contemperano con l’esigenza di introdurre anche la lingua parlata ( non. 36,54 e 63).
Già da questi brevi accenni sul suo contenuto, appare chiaro che se da una parte ci si possa rallegrare per le salutari indicazioni espresse dalla SC e non si possa che auspicare la loro sempre più retta e profonda attuazione, dall’altra si debba riconoscere francamente che lo spirito e la lettera del testo conciliare sono stati ampiamente superati: anzitutto, la commissione preposta all’attuazione della riforma liturgica ha ritenuto di dover ampliare notevolmente gli spazi riservati dalla SC al cambiamento; in secondo luogo, il decennio seguente alla chiusura del concilio, dedicato alla sperimentazione, talvolta manifestamente selvaggia, ha potuto esercitare una notevole pressione anche sui documenti ufficiali, tanto che in diverse occasioni ciò che inizialmente è stato condannato come abuso, in seguito ad una vasta e persistente diffusione è stato poi recepito come prassi e infine autorizzato (caso esemplare quello della facoltà di ricevere la comunione sulla mano).
Il risultato è che accanto alle tanto necessarie e benefiche innovazioni, la riforma liturgica seguita al Vaticano II abbia sofferto anche una troppo vistosa discontinuità tra il rito tradizionale e quello post conciliare, e non di meno una ulteriore persistente divaricazione tra la forma ufficiale di quest’ultimo e la prassi celebrativa come di fatto si realizza ancora troppo spesso.
Non resta quindi che attendere con fiducia quella “riforma della riforma” di cui tanti sacerdoti e fedeli sensibili sentono l’urgenza, e che più volte anche eminenti prelati hanno auspicato.
Bene
00mercoledì 5 dicembre 2007 15:24
cara Anto...l'articolo era già inserito nella discussione "Dossier Timone" [SM=g8091]
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