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Mons. Ignacio Barreiro Caràmbula

Ultimo Aggiornamento: 02/11/2007 10:24
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Il Presidente
02/11/2007 10:22

Chiarezza sul Motu proprio
Cari amici, ecco il testo integrale di un prezioso articolo di mons. Barreiro Caràmbula sul Motu proprio. Leggetelo con attenzione, anche se è un po' lungo e tecnico, perché fornisce molti argomenti per controbattere alle obiezioni dei "limitazionisti"...



Lettera Apostolica
“Summorum Pontificum cura”

Pubblichiamo l'articolo sul Motu Proprio “Summorum Pontificum cura”

che Mons. Ignacio Barreiro Caràmbula

ha scritto per il n° 1-2 2007 della rivista
Instaurare Omnia in Christo



La Lettera Apostolica Summorum Pontificum promulgata come Motu proprio da Benedetto XVI il 7 luglio, è certamente una pietra miliare nella storia della Chiesa; è una norma liturgica che si occupa della preservazione attiva del tesoro liturgico della Chiesa. Conferma inoltre il fatto storico che il Messale Romano promulgato da S. Pio V e riedito nel 1962 dal Beato Giovanni XXIII non è mai stato abrogato. Di conseguenza si riconosce che l’uso di questo Messale è perfettamente lecito. Il Motu proprio stabilisce le condizioni giuridiche per l'uso del Messale Romano e del rituale per i sacramenti contemporaneo al Messale medesimo.

La prima cosa che dobbiamo osservare è che la Lettera Apostolica non è un documento costitutivo, non crea nuovi diritti; è invece di natura dichiarativa e riconosce l’esistenza di precedenti diritti. 
Il Santo Padre, infatti, nella lettera di presentazione di questo documento, riferendosi al Messale del 1962 nota: “vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso”. 

Ciò che è nuovo è la regolazione di questi diritti;  perché in qualsiasi società ben ordinata, tutti i diritti devono essere esercitati in modo che risultino regolati dalla legge. 

La natura dichiarativa di questo documento, porta a due conclusioni: 
1. Noi fedeli, che per anni abbiamo sostenuto la preservazione della liturgia classica della Chiesa, non eravamo disobbedienti, al contrario agivamo nel rispetto della liturgia esistente. 

2. La natura dichiarativa del Motu proprio porta a credere che l’affermazione storica di base non può essere cambiata da un futuro pontefice, poiché la realtà non può essere cambiata. 

Allo stesso tempo è evidente che la regolamentazione legislativa dell’esercizio di questi diritti può essere cambiata, dipendendo dalla prerogativa del Papa quale legislatore Supremo della Chiesa. 

Detto ciò, è anche evidente che la Summorum Pontificum, nel riconoscere i diritti crea una nuova situazione giuridica di diritti acquisiti, quindi qualsiasi passo per negare quei diritti potrebbe essere offensivo per la  Legge Divina e Naturale.

Dobbiamo, poi, considerare la ratio legis di questo documento: 
1. Prima di tutto va registrata l’Ermeneutica della Continuità, come ha spiegato in modo brillante Benedetto XVI nel suo discorso alla Curia il 22 dicembre 2005. 

Una dimostrazione delle intenzioni del Santo Padre di riaffermare la fede tradizionale della Chiesa, può essere vista nel documento pubblicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 10 luglio, che mostra come c'è piena identità tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa Cattolica. 

2. La seconda è l’influenza positiva che il Messale del 1962 può avere sulla nuova liturgia che è certamente afflitta da molte difficoltà per il modo in cui è celebrata, come nota il Santo Padre nella sua lettera di introduzione. 

3. Considerando i problemi che ha incontrato l’applicazione della precedente legislazione, è stato necessario stabilire una nuova legislazione per assicurare l’accesso al Messale del 1962 a quei fedeli che desiderino usarlo.

Dobbiamo analizzare le regolamentazioni stabilite in questa legge fondamentale della Chiesa. 

La premessa di partenza contenuta nell’art. 1 è che la Chiesa Cattolica di Rito Latino ha due usi liturgici: il Messale promulgato da Paolo VI e il Messale Romano promulgato da S. Pio V e riedito dal Beato Giovanni XXIII. Il primo, secondo queste disposizioni, costituisce la forma ordinaria, il secondo la forma straordinaria.

Di conseguenza l’art. 2 stabilisce il diritto di ogni sacerdote di rito latino, secolare o regolare, ad usare entrambi i Messali, in Messe celebrate senza il popolo, senza chiedere il permesso alla Sede Apostolica o all'Ordinario. 
Questo articolo precisa che un sacerdote può celebrare Messe senza il popolo ogni giorno ad eccezione del Triduo Pasquale. Si deve considerare che ciò è inteso in un contesto in cui in nessuno dei due usi liturgici sono permesse Messe senza il popolo durante il Triduo Pasquale. Di fatto il Messale del 1962 è molto preciso nelle rubriche nel proibire la celebrazione delle Messe il Giovedì Santo eccetto che per la Solenne celebrazione della Messa in Cena Domini.

Come stabilito nell’art. 4, i fedeli che lo desiderino, possono partecipare a queste Messe. 
Il diritto contenuto in questo articolo veniva chiamato “indulto universale”, ma questa definizione è chiaramente non appropriata, perché questa norma stabilisce chiaramente il diritto di usare il Messale del 1962 da parte di qualsiasi sacerdote che desideri farlo come suo diritto proprio, quindi non si tratta di un indulto, che è per sua stessa natura una situazione eccezionale. 

I diritti dei chierici di usare il Breviario Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII, come garantito nell’art. 9.3, è la conseguenza logica e concomitante dell’uso del Messale del 1962. 
Sarebbe inappropriato da un punto di vista liturgico, usare questo Messale e il Breviario contemporaneo, perchè hanno differenti calendari e differenti stili di preghiere.

Nell’art. 3 si riconosce il diritto degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica che desiderino farlo, di celebrare la Messa secondo il Messale del 1962 nei propri oratori. 
Nel testo di questo articolo è chiaramente stabilito che questi Istituti possono decidere di usare questo messale in modo permanente. Ciò significa che possono decidere di usare solamente il Messale del 1962.

In una parrocchia, dove ci sia un gruppo stabile di fedeli che desideri partecipare alla liturgia secondo il Messale del 1962, come stabilito nell’art. 5, al parroco è data facoltà di accogliere la richiesta e, a tal fine, viene incoraggiato dal legislatore ad accettare questa richiesta. 
Queste Messe possono essere celebrate di Domenica, nei giorni di precetto, o in qualsiasi altro giorno delle settimana, o per matrimoni, funerali e celebrazioni occasionali, come per esempio durante pellegrinaggi, ma è evidente che la Messa del 1962 può essere celebrata in qualsiasi occasione ragionevole. 

L’affermazione contenuta in questo articolo che “il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia”, non dovrebbe essere interpretata in alcun modo come diminuzione dei diritti di quei fedeli, ma dovrebbe essere vista come un provvedimento di senso comune per trovare un modo appropriato di programmare la celebrazione della Messa secondo il Messale del 1962

I parroci sono autorizzati anche a concedere ai fedeli i sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Confessione e dell’Estrema Unzione, secondo il rituale tradizionale (art. 9 §1). Allo stesso tempo i Vescovi sono autorizzati ad amministrare il Sacramento della Cresima secondo questo rito. 

Il provvedimento contenuto nell’art. 6 regola la possibilità che le letture del Messale del 1962 vengano fatte nella lingua vernacola. 
Personalmente credo che la soluzione migliore sia quella di fare ciò che si faceva in alcune parrocchie già negli anni ’40 del secolo scorso, cioè di avere un sacerdote che legga a voce alta le letture in lingua vernacola dal pulpito, mentre il celebrante legge contemporaneamente le stesse letture sull’altare a voce bassa.

Si deve notare che in Francia è comune in molte Messe Basse tradizionali che le letture vengano fatte direttamente nella lingua vernacola. 

I provvedimenti di questo articolo non dovrebbero affatto essere interpretati come se la Santa Sede avesse intenzione di introdurre cambiamenti nelle letture attuali della Messa del 1962, come mi è stato assicurato da alcune fonti attendibili a Roma.

Per la cura pastorale dei fedeli che seguono il Messale del 1962, è più che ragionevole che vengano erette delle parrocchie personali, come indicato nell’art. 10
In questo modo i fedeli non sarebbero limitati a un’unica Messa domenicale ma potrebbero vivere in una comunità completa che riceve la pienezza della cura pastorale. L’erezione di una parrocchia personale garantisce il diritto di “seguire un proprio metodo di vita spirituale, che sia però conforme alla dottrina della Chiesa”(canone 214). 

È evidente che queste nuove norme riconoscono la legittimità piena e integrale di una vita spirituale basata sul Messale del 1962, e di conseguenza ai fedeli deve essere garantito il diritto di avere tutti i mezzi per vivere questa vita spirituale e non c’è dubbio che una parrocchia personale fornirebbe i mezzi per vivere in armonia con uno stile di vita che è connaturale alla liturgia tradizionale della Chiesa. 

Oltre a queste ragioni teoriche ci sono molti motivi pratici che mostrano i vantaggi delle parrocchie personali. È difficile per due gruppi condividere lo stesso edificio. La necessaria condivisione degli stessi spazi potrebbe causare delle frizioni. Inoltre c'è il problema di poter usare la stessa chiesa in momenti chiave dell’anno liturgico. Non è possibile celebrare nella stessa chiesa due Messe di mezzanotte o due Tridui pasquali. 

I rimedi legali per i problemi che possano sopraggiungere nell’applicazione di queste norme sono forti e ben articolati. 
Le disposizioni considerano due casi: quando il parroco o il Vescovo non vogliono accettare la richiesta dei fedeli e il caso in cui il Vescovo voglia farlo, ma non  ha i mezzi per farlo. 

Nel caso in cui il parroco non potesse o non volesse esaudire la richiesta di un gruppo di fedeli che richiedano la celebrazione della Messa secondo il Messale del 1962, quei fedeli dovrebbero portare il caso all’attenzione del Vescovo locale e nel caso in cui il Vescovo non sia in grado di soddisfare le loro legittime richieste, il caso dovrebbe essere deferito alla Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, come stabilito nell’art. 7

Nel caso in cui il vescovo voglia soddisfare la richiesta dei fedeli ma manchi dei mezzi necessari, può portare il caso all’attenzione della stessa Commissione per ottenere aiuto e consiglio come stabilito dall’art. 8.

Secondo i principi generali della legge, niente impedisce che i fedeli che non ricevono la dovuta soddisfazione delle loro richieste da un Vescovo che dichiari la sua volontà di esaudire la loro richiesta ma non cerchi l’intervento della Commissione, possano portare il caso all’attenzione di questo dicastero. Dovrebbe essere evidente che quando sono negati gli altri sacramenti, i fedeli dovrebbero avere il diritto di ricorrere alla Commissione, come nel caso in cui l’Ordinario locale si rifiutasse di erigere una parrocchia personale.

Dovremmo anche considerare che la Commissione riceve una forte autorità nell’applicazione e nell’esecuzione delle disposizioni che stabiliscono che questa “eserciterà l’autorità della Santa Sede vigilando sulla osservanza e l’applicazione” delle disposizioni di questa norma (art. 12). 

Allo stesso tempo si deve considerare, come annunciato nell’art. 11, che la Commissione riceverà ulteriori poteri dal Santo Padre.
Molto probabilmente il Santo Padre promulgherà in un futuro non lontano un altro Motu proprio elevando lo status di questa Commissione e anche concedendole tutti i poteri legali necessari per adempiere in modo forte al suo nuovo mandato. 

È possibile, inoltre, che il nome della Commissione venga cambiato per evitare ricordi dolorosi che sono connessi al Motu proprio “Ecclesia Dei” del 2 Luglio 1988.

L’affermazione contenuta nella Lettera di presentazione di Benedetto XVI: “Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso”, deve essere debitamente spiegata per evitare qualche confusione di interpretazione. 
Un sacerdote dedito alla celebrazione della liturgia tradizionale della Chiesa non esclude in linea di principio la celebrazione secondo il Messale di Paolo VI, perchè ciò significherebbe negarne la validità. Potrebbe invece decidere di celebrare solo la liturgia tradizionale per molte ragioni.

Primo, perché percepisce le perfezioni accidentali connesse alla Messa tradizionale come un modo in cui la natura sacrificale della Messa in se stessa è espressa in modo migliore. 

Secondo, per vocazione: potrebbe giustamente sentire di aver ricevuto una chiamata da Dio per celebrare solo la liturgia tradizionale della Chiesa. 

Dovremmo notare inoltre che questi commenti del Santo Padre non fanno parte del Motu Proprio e per questo non creano da soli nessuna obbligazione legale.

Si deve considerare che l’art. 3 concede alle Comunità degli Istituti di vita consacrata e alle Società di vita apostolica, il diritto di celebrare in modo permanente la liturgia tradizionale della Chiesa. 
Dovremmo anche ricordare che il canone 902 stabilisce che un sacerdote non può essere obbligato a concelebrare.

Per concludere, siamo profondamente molto grati a Benedetto XVI per la promulgazione di queste disposizioni fondamentali che riconoscono il valore permanente della liturgia tradizionale della Chiesa e garantiscono i diritti dei fedeli. 

Dovremo continuare a pregare chiedendo al Signore che queste norme fondamentali della Chiesa possano essere debitamente applicate. 


NON PRAEVALEBUNT!!!
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Età: 52
Sesso: Maschile
Il Presidente
02/11/2007 10:24

Chi è mons. Ignacio Barreiro Caràmbula
Don Ignacio Barreiro nasce nel 1947 a Montevideo, Uruguay, da una famiglia di origine spagnola - francese.

Nel 1973 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l'Università della Repubblica dell'Uruguay. Dopo l'esercizio dell'avvocatura ha lavorato dal 1975 al 1983 come funzionario diplomatico del Ministero degli Affari Esteri dell'Uruguay. In questo periodo ha lavorato come membro della missione dell'Uruguay presso le Nazioni Unite.

Dopo aver fatto gli studi nel seminario di New York è stato ordinato sacerdote il 14 Novembre 1987 dal cardinale O'Connor. Nel 1991 si è trasferito a Roma per continuare i suoi studi ecclesiastici e allo stesso tempo ha svolto lavori pastorali. Nel 1996 ha ottenuto il dottorato di teologia presso l'Università della Santa Croce in Roma.

Dal settembre 1998 è responsabile dell'ufficio di Vita Umana Internazionale di Roma.

Vita Umana Internazionale è un'organizzazione dedicata alla difesa della vita, della famiglia e della fede in tutto il mondo, d'accordo con gli insegnamenti della Chiesa Cattolica. Inoltre è il cappellano di Militia Christi e dell'istituto Dietrich von Hildebrand.

Ha pubblicato articoli e recensioni in parecchie riviste.)

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