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GIOVANNI PAOLO II IL GRANDE

Ultimo Aggiornamento: 05/04/2008 17:10
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03/04/2008 10:25

CARI AMICI,
IL 2 APRILE 2005 IL CARO SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II NASCEVA A NUOVA VITA...



Io, cerimoniere pontificio e testimone della santità di Giovanni Paolo II


di Monsignor Konrad Krajewski*

CITTA’ DEL VATICANO - Ho conosciuto di persona Giovanni Paolo II nel 1998, anno in cui ho iniziato a lavorare nell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice. Quando era il mio turno di assisterlo durante le celebrazioni, insieme con il maestro monsignor Piero Marini, rimanevo sempre colpito da ciò che accadeva nella sagrestia prima e dopo la celebrazione. Quando il Papa veniva nella sagrestia e restavamo soltanto noi due, si metteva in ginocchio o, negli ultimi anni del Pontificato, rimaneva sulla sua sedia, e pregava in silenzio. Questa preghiera durava dieci, quindici o anche venti minuti e, durante i viaggi apostolici, perfino di più. Sembrava che il Pontefice non fosse presente tra di noi. Quando il momento di preghiera sembrava protrarsi troppo a lungo, entrava monsignor Stanislaw Dziwisz, tentando di suggerire al Papa di prepararsi: spesso il Pontefice non rispondeva a questa chiamata. A un certo momento, alzava la mano destra, e noi ci avvicinavamo per cominciare a vestirlo in assoluto silenzio. Sono convinto che Giovanni Paolo II, prima di rivolgersi alla gente, si rivolgeva - o, per dire meglio, parlava - a Dio. Prima di rappresentarLo, chiedeva a Dio di poter essere la Sua immagine vivente davanti agli uomini. Lo stesso accadeva dopo la celebrazione: appena deposte le vesti sacre, si metteva in ginocchio nella sagrestia, e pregava. Avevo sempre la stessa impressione, che non fosse presente tra di noi. Di tanto in tanto, durante i viaggi, entrava il suo segretario e sfiorandolo con delicatezza lo esortava a uscire dalla sagrestia, perché la gente lo aspettava per salutarlo (presidenti, sindaci, autorità...), ma quasi mai il Papa reagiva: rimaneva sempre in profonda preghiera e di nuovo, a un certo momento, si alzava da solo, o dava a noi un segnale per essere aiutato. Questi momenti di preghiera, prima e dopo l'azione liturgica, mi colpivano sempre profondamente. Quando lo assistevo, ponevo la mitra, passavo il fazzoletto, ero sicuro di toccare una persona non solo straordinaria, ma veramente santa. Negli ultimi anni del Pontificato ero cerimoniere stabile del Pontefice: seguivo tutte le celebrazioni stando accanto al Papa, vedevo la sua sofferenza e le sue difficoltà in ogni movimento. Una volta, quando egli stava molto male, durante una celebrazione sul sagrato della basilica di San Pietro, inchinandomi, mi sono permesso di dire: "Santità, posso aiutarla in qualche modo? Forse qualcosa le fa male?". Egli mi ha risposto: "Ormai tutto mi fa male, ma deve essere così...". Ero sicuro e profondamente convinto che assistevo e toccavo una persona santa. Mi sentivo così indegno di stare accanto a quest'uomo e di servirlo, che negli ultimi anni del suo Pontificato, prima di ogni celebrazione, andavo a confessarmi, anche se avevamo due o tre celebrazioni alla settimana. Così facevo un po' arrabbiare i confessori della basilica di San Pietro, ma sentivo profondamente il bisogno di essere totalmente "pulito" quando mi avvicinavo al Papa. Dopo tanti anni di servizio, e dodici viaggi all'estero, sono giunto a questa conclusione: tanti milioni di persone che partecipavano alle celebrazioni liturgiche presiedute dal Pontefice accorrevano per incontrare Gesù, che era rappresentato da Giovanni Paolo II, e presente proprio in lui, nella sua parola predicata, nei suoi gesti e nei suoi atteggiamenti liturgico-mistici. Per questo motivo la gente piangeva. Diceva: "Ha parlato solo a me, ha guardato me, ha cambiato la mia vita...". Come era possibile ciò, quando qualcuno durante la celebrazione stava lontano dal Pontefice centinaia di metri o, addirittura, chilometri (come succedeva durante i viaggi)? Come poteva dire: "Ha visto me", "ha parlato proprio a me"? Anch'io, personalmente, devo testimoniare che la mia vita sacerdotale è cambiata totalmente, da quando ho cominciato a lavorare accanto a Giovanni Paolo II. Vorrei ancora sottolineare alcuni momenti molto significativi, che mi hanno colpito profondamente durante l'ultima celebrazione del Corpus Domini presieduta dal Papa. Ormai il Pontefice non camminava più. Il maestro delle celebrazioni e io lo abbiamo issato con la sedia sulla piattaforma della macchina appositamente preparata per la processione: davanti al Papa, sull'inginocchiatoio, era posto l'ostensorio con il Santissimo Sacramento. Durante la processione il Pontefice si è rivolto a me in polacco, chiedendo di potersi inginocchiare. Sono rimasto imbarazzato da tale domanda, perché fisicamente il Papa non era in grado di farlo. Con grande delicatezza, ho suggerito l'impossibilità di inginocchiarsi, poiché la macchina oscillava durante il percorso, e sarebbe stato molto pericoloso compiere un gesto simile. Il Papa ha risposto con il suo famoso dolce "mormorio". Trascorso un po' di tempo, all'altezza della Pontificia Università "Antonianum", ha ripetuto di nuovo: "Voglio inginocchiarmi!", e io, con grande difficoltà nel dover ripetere il rifiuto, ho suggerito che sarebbe stato più prudente tentare di farlo nelle vicinanze di Santa Maria Maggiore; e di nuovo ho sentito quel "mormorio". Tuttavia, dopo qualche istante, giunti alla curia dei padri Redentoristi, ha esclamato con determinazione, e quasi gridando, in polacco: "Qui c'è Gesù! Per favore...". Non era più possibile contraddirlo. Il maestro è stato testimone di quei momenti. I nostri sguardi si sono incontrati, e, senza dire nulla, abbiamo cominciato ad aiutarlo a inginocchiarsi. Lo abbiamo fatto con grande difficoltà, e quasi lo abbiamo messo di peso sull'inginocchiatoio. Il Papa si aggrappava al bordo dell'inginocchiatoio e cercava di sorreggersi; tuttavia le ginocchia non lo reggevano più, e abbiamo dovuto subito rimetterlo sulla sedia, tra difficoltà che non erano solo fisiche, ma erano dovute anche all'ingombro dei paramenti liturgici. Avevamo assistito a una grande dimostrazione di fede: anche se il corpo non rispondeva più alla chiamata interiore, la volontà rimaneva salda e forte. Il Pontefice aveva mostrato, nonostante la sua grande sofferenza, la forza interiore della fede, che voleva manifestarsi attraverso il gesto di inginocchiarsi. Non contavano nulla i nostri suggerimenti di non compiere quel gesto. Il Papa ha sempre ritenuto che, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento, bisogna essere molto umili ed esprimere questa umiltà attraverso il gesto fisico. Infine, voglio sottolineare che, attraverso il mio semplice servizio al Romano Pontefice, anch'io sono diventato migliore, come uomo e come sacerdote. Egli ci ha insegnato che "il vero amico è colui grazie al quale io divento migliore": allora posso dire che, secondo tale definizione, Giovanni Paolo II era il mio vero amico. Attraverso la sua testimonianza mi sono avvicinato ancora di più a quel Dio, che veniva rappresentato da Giovanni Paolo II. Ho potuto vedere come, durante la sua vita, egli si dedicava e si abbandonava totalmente a Dio in occasione delle celebrazioni liturgiche, e in tale stato di dedizione si è spento. Quando è morto, io camminavo nelle logge vaticane, esercitando la mia funzione di Cerimoniere Pontificio, e piangevo. Forse per la prima volta nella mia vita di adulto non mi vergognavo delle lacrime. Tuttavia erano lacrime per me stesso: perché non sono come lui, perché non sono un santo sacerdote, perché non mi sono offerto fino in fondo al Signore, perché non sono totus tuus... Non ricordo completamente che cosa pensavo portando l'evangeliario davanti alla semplice bara di Giovanni Paolo II. Volevo solo portarlo con dignità, così come si porta il più importante libro della vita: il libro della vita di Giovanni Paolo II. Questo libro l'ho deposto con il maestro sulla bara, e sentivo come ero indegno di questo gesto. Mi sentivo così piccolo e così peccatore... Pregavo il Signore di poter portare il libro del Vangelo nella mia vita, così come lo aveva portato Giovanni Paolo II. E di non chiuderlo mai. Da quando Giovanni Paolo II è tornato alla casa del Padre, ogni giorno vado a confessare nella Chiesa di Santo Spirito in Sassia alle 15, l'"ora della misericordia" nella quale tanta gente canta la coroncina della misericordia e segue la Via Crucis. Mi è capitato parecchie volte di suggerire a diverse persone di andare alla tomba del servo di Dio Giovanni Paolo II a pregare. Perché egli superava se stesso. Superava il proprio corpo, le proprie sofferenze. Quando si affacciava alla finestra, e ormai aveva smesso di parlare, tutti sapevamo che cosa avrebbe voluto dirci. Quando alzava con difficoltà la mano, facevamo subito il segno della croce, perché sempre lui ci benediceva. Mentre finivo di dire queste parole, tanti mi rispondevano: "Ma io vengo proprio dalle Grotte Vaticane, dalla tomba di Giovanni Paolo II, e perciò mi confesso. Non sapevo neppure che a quest'ora ci si potesse confessare...".



*Cerimoniere Pontificio



(Articolo tratto dall’Osservatore Romano del 2 Aprile 2008)




Maria auxilium cristianorum, ora pro nobis

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03/04/2008 10:35

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Maria auxilium cristianorum, ora pro nobis

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05/04/2008 17:10

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