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IN HOC SIGNO VINCES

Ultimo Aggiornamento: 12/07/2007 19:50
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Città: GUBBIO
Età: 53
Sesso: Femminile
12/07/2007 19:50

Marta SORDI
La svolta di Costantino
tratto da Il Timone, anno 4 (2002) luglio/agosto, n. 20, p. 24-25.

Anno 312: l'imperatore Costantino, in lotta contro il rivale Massenzio, si converte al Cristianesimo dopo la visione di una croce e della scritta "Con questo segno vinci". Fu conversione sincera o dettata da opportunismo?


Negli anni '30 del secolo scorso e, poi, per molti decenni ancora, la "questione costantiniana", sollevata dal Gregoire e dalla sua scuola, attirò l'attenzione degli studiosi e divenne addirittura uno dei temi fondamentali, per il settore antico, del Congresso Internazionale di Storia del 1955: si sostenne, intatti, da parte di alcuni, che la svolta del 312/3 non fu opera di Costantino, ma, semmai, di Massenzio e di Licinio; che Costantino non si convertì allora al Cristianesimo e che la sua presunta conversione a Ponte Milvio fu un'invenzione degli scrittori cristiani della sua corte, Lattanzio ed Eusebio, accettata per opportunismo dall'imperatore negli anni dello scontro definitivo con Licinio; che il segno da lui adottato in quella occasione era un simbolo solare e non cristiano e che egli rimase un adoratore del Sole per molti anni ancora.

Oggi questa impostazione è in gran parte superata e uno studio recente sottolinea anzi l'importanza del rifiuto da parte di Costantino, implicito nel silenzio di tutte le fonti, dell'ascesa in Campidoglio nelle celebrazioni del 29 ottobre del 312 e della sostituzione, inaugurata da Costantino, dell'«adventus» al trionfo: il nuovo cerimoniale, ripreso poi dagli imperatori cristiani, con l'assunzione dei caratteri del trionfo, ma senza il tradizionale rendimento di grazie a Giove Ottimo Massimo e con la valorizzazione degli incontri col senato e col popolo e della «publica laetitia», è la conferma, a mio avviso importante, del rapporto che già prima di Costantino i Cristiani avevano assunto nei riguardi dì Roma, di accettazione piena della sua tradizione politica e militare e di rifiuto totale della sua tradizione religiosa. Questo atteggiamento si ritrova in Ambrogio e caratterizzerà l'impero romano-cristiano.

La spiegazione che le fonti cristiane contemporanee, Lattanzio nel «De mortibus persecutorum» ed Eusebio nella «Storia Ecclesiastica» e nella «Vita di Costantino» (di cui molti, ma sembra a torto, hanno contestato l'autenticità), danno dell'improvvisa trasformazione dell'atteggiamento di Costantino nella campagna del 312, resta certamente l'unica possibile: anche se nelle vicende di quei giorni avessimo soltanto il racconto dell'anonimo panegirista pagano del 313, dovremmo ammettere che, nel corso della campagna contro Massenzio, qualcosa di eccezionale era avvenuto nella religiosità di Costantino e che egli aveva abbandonato il paganesimo tradizionale, mostrando anzi un fastidio così aperto verso gli dei, che il retore evita di nominarli in sua presenza, ed era passato ad un misterioso Dio supremo, creatore e provvidente, nel quale si poteva in qualche modo riconoscere il «summus deus» dei filosofi e della religione solare, ma che non poteva essere identificato semplicemente con quello.

La stessa reticenza imbarazzata si trova nella iscrizione dell'arco elevato in onore dell'imperatore dal senato e dal popolo romano nel 315 («instinctu divinitatis») e nel linguaggio del cosiddetto editto di Milano del febbraio 313, impostato nella ricerca di un linguaggio comune, che potesse essere accolto da una religione monoteistica e da un paganesimo «monoteizzante», di natura filosofica e solare e potesse essere sottoscritto dal pagano Licinio e dal cristiano Costantino: «quidquid est divinitatis in sede celesti» (Lattanzio, «De mort.» 48).

Nell'incontro dì Milano, che doveva risolvere i massimi problemi politici dell'impero, le decisioni da prendere per prime sono quelle che riguardano la «divinitatis reverentia», affinché «qualsiasi divinità ci sia nella sede del cielo, possa essere placata e propizia a noi e a tutti coloro che sono posti sotto il nostro comando»: alla base di questa impostazione c'è evidentemente la tradizione romana della «pax deorum», l'alleanza con la divinità.

Caratteristica di Costantino è invece la condizione posta al collega pagano per un accordo, la concessione della libertà religiosa, secondo cui il diritto della divinità di essere adorata come vuole fonda nei singoli la «libera potestà di seguire la religione che ciascuno avesse voluto»; essa capovolge la concezione dell'editto di Serdica, che Licinio aveva suggerito al morente Galerio, presentando la tolleranza come un perdono concesso dalla clemenza imperiale ad un errore, e rovescia addirittura, a favore del Cristianesimo, i tradizionali rapporti fra religioni, affermando che, proprio per assicurarsi l'alleanza della divinità, gli imperatori concedono «ai Cristiani e a tutti» la libertà di seguire la religione che vogliono.

Nominando per primi i Cristiani e isolandoli rispetto agli altri, il cosiddetto editto di Milano toglie in un certo senso al paganesimo il suo carattere di religione di Stato e prepara la strada alla proclamazione del Cristianesimo a nuova religione dell'impero romano: ciò che avverrà in modo esplicito solo con Teodosio, e dopo la rinuncia da parte di Graziano alla carica di Pontefice Massimo.

Per comprendere la svolta costantiniana credo sia necessario liberarsi del pregiudizio moderno della pura strumentalizzazione politica della religione e tenere conto invece dell'importanza che la scelta della divinità, «dell'alleanza col Dio più forte a cui affidare l'impero», aveva assunto, sulla linea dell'antica concezione della «pax deorum», nella mentalità romana dal III secolo in poi. Se tenessimo conto esclusivamente dell'interesse politico contingente, la scelta di un simbolo cristiano (croce, monogramma di Cristo o croce monogrammatica) e la proclamazione dell'alleanza col Dio dei Cristiani apparirebbero incomprensibili e controproducenti: l'esercito delle Gallie, che Costantino guidava contro il «tiranno» Massenzio, era in gran parte pagano e pagani erano il senato e il popolo di Roma, che Costantino intendeva «liberare».

La scelta, imprevedibile, fu dunque religiosa: o, meglio, fu politica, ma nel senso di «politica verso la divinità». Lo rivela il racconto che Costantino stesso dette ad Eusebio della sua conversione e che leggiamo nella «Vita Costantini» (1, 27): secondo questa versione l'imperatore, all'inizio della campagna contro Massenzio, era preoccupato per le arti magiche a cui quest'ultimo faceva ricorso ed era convinto che fosse impossibile vincerlo senza l'aiuto divino. Egli cercava dunque un dio che lo aiutasse, nella consapevolezza che gli dei della Tetrarchia, Giove ed Ercole, non erano stati capaci di aiutare Galerio e Severo, e che solo suo padre, Costanzo Cloro, che aveva onorato per tutta la sua vita il dio sommo, lo aveva avuto alleato sempre. Egli invocò perciò il dio di suo padre, chiedendo di rivelargli chi fosse e di stendergli la sua destra: fu allora che egli vide nel cielo, al di sopra del sole, un trofeo della croce fatto di luce, con la scritta: Con questo vinci.

Ciò che colpisce nella versione di Costantino, e che un cristiano non aveva interesse a inventare, è che egli ammette di essere stato fino al 312 un adoratore del Sole, come suo padre, e di avere sentito la sua conversione al Cristianesimo come il superamento di una religiosità incompleta, non come il rinnegamento dì una religione falsa. Nella visione il «dio dai molti nomi» aveva assunto il nome e il simbolo di Cristo: questo spiega perché, fino al 320, i simboli solari non scompaiano dalle monete di Costantino.



Maria auxilium cristianorum, ora pro nobis

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