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APPELLO Oggi ho firmato la Lettera apostolica «Sacrae Scripturae affectus» 16° centenario morte di San Girolamo.

Ultimo Aggiornamento: 08/10/2020 20:24
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08/10/2020 20:23
 
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La chiave sapienziale del suo ritratto


Per una piena comprensione della personalità di San Girolamo è necessario coniugare due dimensioni caratteristiche della sua esistenza di credente: da un lato, l’assoluta e rigorosa consacrazione a Dio, con la rinuncia a qualsiasi umana soddisfazione, per amore di Cristo crocifisso (cfr 1 Cor 2,2; Fil 3,8.10); dall’altro, l’impegno di studio assiduo, volto esclusivamente a una sempre più piena comprensione del mistero del Signore. È proprio questa duplice testimonianza, mirabilmente offerta da San Girolamo, che viene proposta come modello: per i monaci, innanzitutto, perché chi vive di ascesi e di preghiera venga sollecitato a dedicarsi all’assiduo travaglio della ricerca e del pensiero; per gli studiosi, poi, che devono ricordare che il sapere è valido religiosamente solo se fondato sull’amore esclusivo per Dio, sulla spoliazione di ogni umana ambizione e di ogni mondana aspirazione.


Tali dimensioni sono state recepite nel campo della storia dell’arte, dove la presenza di San Girolamo è frequente: grandi maestri della pittura occidentale ci hanno lasciato le loro raffigurazioni. Potremmo organizzare le varie tipologie iconografiche lungo due linee distinte. L’una lo definisce soprattutto come monaco e penitente, con un corpo scolpito dal digiuno, ritirato in zone desertiche, in ginocchio o prostrato a terra, in molti casi stringendo un sasso nella destra per battersi il petto, e con gli occhi rivolti al Crocifisso. In questa linea si pone il toccante capolavoro di Leonardo da Vinci conservato nella Pinacoteca Vaticana. Un altro modo di raffigurare Girolamo è quello che ce lo mostra in veste di studioso, seduto al suo scrittoio, intento a tradurre e commentare la Sacra Scrittura, attorniato da volumi e pergamene, investito della missione di difendere la fede attraverso il pensiero e lo scritto. Albrecht Dürer, per citare un altro esempio illustre, lo ha raffigurato più di una volta in questo atteggiamento.


I due aspetti sopra evocati si ritrovano congiunti nella tela del Caravaggio, alla Galleria Borghese di Roma: in un’unica scena, infatti, viene presentato l’anziano asceta, sommariamente rivestito da un panno rosso, che sul tavolo ha un cranio, simbolo della vanità delle realtà terrene; ma assieme è pure potentemente raffigurata la qualità dello studioso, che tiene gli occhi fissi sul libro, mentre la sua mano intinge la penna nel calamaio nell’atto caratteristico dello scrittore.


In modo analogo – un modo che chiamerei sapienziale – dobbiamo comprendere il duplice profilo del percorso biografico di Girolamo. Quando, da vero «Leone di Betlemme», esagerava nei toni, lo faceva per la ricerca di una verità della quale era pronto a farsi incondizionato servitore. E come lui stesso spiega nel primo dei suoi scritti, Vita di San Paolo, eremita di Tebe, i leoni sono capaci di “potenti ruggiti” ma anche di lacrime.[27] Per questo motivo, quelle che nella sua figura appaiono due fisionomie giustapposte sono, in realtà, elementi con i quali lo Spirito Santo gli ha permesso di maturare la sua unità interiore.


Amore per la Sacra Scrittura


Il tratto peculiare della figura spirituale di San Girolamo rimane senza dubbio il suo amore appassionato per la Parola di Dio, trasmessa alla Chiesa nella Sacra Scrittura. Se tutti i Dottori della Chiesa – e in particolare quelli della prima epoca cristiana – hanno attinto esplicitamente dalla Bibbia i contenuti del loro insegnamento, Girolamo lo ha fatto in modo più sistematico e per certi versi unico.


Gli esegeti negli ultimi tempi hanno scoperto la genialità narrativa e poetica della Bibbia, esaltata proprio per la sua qualità espressiva; Girolamo, invece, sottolineava piuttosto nella Scrittura il carattere umile del rivelarsi di Dio ed espresso nella natura aspra e quasi primitiva della lingua ebraica, paragonata alla raffinatezza del latino ciceroniano. Non è dunque per un gusto estetico che egli si dedica alla Sacra Scrittura, ma – come è ben noto – solamente perché essa lo porta a conoscere Cristo, perché l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo.[28]


Girolamo ci insegna che non vanno studiati solo i Vangeli, e non è solo la tradizione apostolica, presente negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere, a dover essere commentata, perché tutto l’Antico Testamento è indispensabile per penetrare nella verità e nella ricchezza del Cristo.[29] Le stesse pagine evangeliche lo attestano: esse ci parlano di Gesù come Maestro che, per spiegare il suo mistero, ricorre a Mosè, ai profeti e ai Salmi (cfr Lc 4,16-21; 24,27.44-47). Anche la predicazione di Pietro e Paolo, negli Atti, si radica emblematicamente nelle antiche Scritture; senza di esse non può essere pienamente compresa la figura del Figlio di Dio, il Messia Salvatore. L’Antico Testamento non deve essere considerato come un vasto repertorio di citazioni che dimostrano il compiersi delle profezie nella persona di Gesù di Nazaret; più radicalmente, invece, è solo alla luce delle “figure” anticotestamentarie che è possibile conoscere in pienezza il senso dell’evento di Cristo, compiutosi nella sua morte e risurrezione. Da qui la necessità di riscoprire, nella prassi catechetica e nella predicazione, come anche nelle trattazioni teologiche, l’apporto indispensabile dell’Antico Testamento, che va letto e assimilato come nutrimento prezioso (cfr Ez 3,1-11; Ap 10,8-11).[30]


La dedizione totale di Girolamo alla Scrittura si manifesta in una forma espressiva appassionata, simile a quella degli antichi profeti. È da loro che il nostro Dottore attinge il fuoco interiore che diventa verbo impetuoso e dirompente (cfr Ger 5,14; 20,9; 23,29; Ml 3,2; Sir 48,1; Mt 3,11; Lc 12,49), necessario per esprimere lo zelo ardente del servitore per la causa di Dio. Nella scia di Elia, di Giovanni Battista e anche dell’apostolo Paolo, lo sdegno nei confronti della menzogna, dell’ipocrisia e delle false dottrine infiamma il discorso di Girolamo rendendolo provocatorio e apparentemente aspro. La dimensione polemica dei suoi scritti si comprende meglio se letta come una sorta di calco e di attualizzazione della più autentica tradizione profetica. Girolamo, dunque, è modello di inflessibile testimonianza della verità, che assume la severità del rimprovero per indurre a conversione. Nell’intensità delle locuzioni e delle immagini si manifesta il coraggio del servitore che non vuole compiacere gli uomini ma esclusivamente il suo Signore (Gal 1,10), per il quale egli ha consumato ogni energia spirituale.


Lo studio della Sacra Scrittura


L’amore appassionato di San Girolamo per le divine Scritture è intriso di obbedienza. Innanzitutto nei confronti di Dio, che si è comunicato in parole che esigono ascolto riverente,[31] e, di conseguenza, obbedienza anche a coloro che nella Chiesa rappresentano la vivente tradizione interpretativa del messaggio rivelato. La «obbedienza della fede» (Rm 1,5; 16,26) non è però una mera recezione passiva di ciò che è noto; essa esige, al contrario, l’impegno attivo della personale ricerca. Possiamo considerare San Girolamo un servitore della Parola, fedele e laborioso, consacrato interamente a favorire nei suoi fratelli di fede una più adeguata comprensione del «deposito» sacro loro affidato (cfr 1 Tm 6,20; 2 Tm 1,14). Senza intelligenza di ciò che è stato scritto dagli autori ispirati, la stessa Parola di Dio è priva di efficacia (cfr Mt 13,19) e l’amore per Dio non può scaturire.


Ora, le pagine bibliche non sempre sono immediatamente accessibili. Come è detto in Isaia (29,11), anche per coloro che sanno “leggere” – che hanno cioè avuto una sufficiente formazione intellettuale – il libro sacro appare “sigillato”, chiuso ermeticamente all’interpretazione. È, perciò, necessario che intervenga un testimone competente ad apportare la chiave liberatoria, quella del Cristo Signore, il solo capace di sciogliere i sigilli e aprire il libro (cfr Ap 5,1-10), così da svelare il prodigioso effondersi della grazia (cfr Lc 4,17-21). Molti poi, anche fra i cristiani praticanti, dichiarano apertamente di non essere capaci di leggere (cfr Is 29,12), non per analfabetismo, ma perché impreparati al linguaggio biblico, ai suoi modi espressivi e alle tradizioni culturali antiche, per cui il testo biblico risulta indecifrabile, come se fosse scritto in un alfabeto sconosciuto e in una lingua astrusa.


Si rende dunque necessaria la mediazione dell’interprete che eserciti la sua funzione “diaconale”, mettendosi al servizio di chi non riesce a comprendere il senso di ciò che è stato scritto profeticamente. L’immagine che può essere evocata, al proposito, è quella del diacono Filippo, suscitato dal Signore per andare incontro all’eunuco che sul suo carro sta leggendo un passo di Isaia (53,7-8), senza però poterne dischiudere il significato. «Capisci quello che leggi?», domanda Filippo; e l’eunuco risponde: «E come potrei capire se nessuno mi guida?» (At 8,30-31).[32]


Girolamo è la nostra guida sia perché, come ha fatto Filippo (cfr At 8,35), conduce ogni lettore al mistero di Gesù, sia perché assume responsabilmente e sistematicamente le mediazioni esegetiche e culturali necessarie per una corretta e proficua lettura delle Sacre Scritture.[33] La competenza nelle lingue in cui la Parola di Dio è stata trasmessa, l’accurata analisi e valutazione dei manoscritti, la puntuale ricerca archeologica, oltre alla conoscenza della storia dell’interpretazione, tutte le risorse metodologiche, insomma, che nella sua epoca storica erano disponibili, vengono da lui utilizzate, concordemente e sapientemente, per orientare a una giusta comprensione della Scrittura ispirata.


Una tale dimensione esemplare dell’attività di San Girolamo è quanto mai importante anche nella Chiesa di oggi. Se, come insegna la Dei Verbum, la Bibbia costituisce «come l’anima della sacra teologia»[34] e come il nerbo spirituale della pratica religiosa cristiana,[35] è indispensabile che l’atto interpretativo della Bibbia sia sorretto da specifiche competenze.


A questo scopo servono certamente i centri di eccellenza della ricerca biblica (come il Pontificio Istituto Biblico di Roma, e a Gerusalemme l’École Biblique e lo Studium Biblicum Franciscanum) e patristica (come l’Augustinianum di Roma), ma anche ogni Facoltà di Teologia deve impegnarsi affinché l’insegnamento della Sacra Scrittura sia programmato in modo da assicurare agli studenti una competente capacità interpretativa, sia nell’esegesi dei testi, sia nelle sintesi di teologia biblica. La ricchezza della Scrittura è purtroppo da molti ignorata o minimizzata, perché a loro non sono state fornite le basi essenziali di conoscenza. Accanto quindi a un incremento degli studi ecclesiastici, indirizzati a sacerdoti e a catechisti, che valorizzino in modo più adeguato la competenza nelle Sacre Scritture, va promossa una formazione estesa a tutti i cristiani, perché ciascuno diventi capace di aprire il libro sacro e di trarne i frutti inestimabili di sapienza, di speranza e di vita.[36]


Vorrei qui ricordare quanto espresso dal mio Predecessore nell’Esortazione apostolica Verbum Domini: «La sacramentalità della Parola si lascia così comprendere in analogia alla presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino consacrati. […] Sull’atteggiamento da avere sia nei confronti dell’Eucaristia, che della Parola di Dio, San Girolamo afferma: “Noi leggiamo le sante Scritture. Io penso che il Vangelo è il Corpo di Cristo; io penso che le sante Scritture sono il suo insegnamento. E quando egli dice: Chi non mangerà la mia carne e berrà il mio sangue (Gv 6,53), benché queste parole si possano intendere anche del Mistero [eucaristico], tuttavia il corpo di Cristo e il suo sangue è veramente la parola della Scrittura, è l’insegnamento di Dio”».[37]


Purtroppo in molte famiglie cristiane nessuno si sente in grado – come invece è prescritto nella Tôrah (cfr Dt 6,6) – di far conoscere ai figli la Parola del Signore, con tutta la sua bellezza, con tutta la sua forza spirituale. Per questo ho voluto istituire la Domenica della Parola di Dio,[38] incoraggiando la lettura orante della Bibbia e la familiarità con la Parola di Dio.[39] Ogni altra manifestazione di religiosità sarà così arricchita di senso, sarà guidata nella gerarchia di valori e sarà indirizzata a ciò che costituisce il vertice della fede: l’adesione piena al mistero di Cristo.


La Vulgata


Il “frutto più dolce dell’ardua semina”[40] di studio del greco e dell’ebraico, compiuto da Girolamo, è la traduzione dell’Antico Testamento in latino a partire dall’originale ebraico. Fino a quel momento i cristiani dell’impero romano potevano leggere integralmente la Bibbia solo in greco. Mentre i libri del Nuovo Testamento erano stati scritti in greco, per quelli dell’Antico esisteva una versione completa, la cosiddetta Septuaginta (ossia la versione dei Settanta) fatta dalla comunità ebraica di Alessandria attorno al secolo II a.C. Per i lettori di lingua latina, invece, non vi era una versione completa della Bibbia nella loro lingua, bensì solo alcune traduzioni, parziali e incomplete, a partire dal greco. A Girolamo, e dopo di lui ai suoi continuatori, spetta il merito di aver intrapreso una revisione e una nuova traduzione di tutta la Scrittura. Iniziata a Roma la revisione dei Vangeli e dei Salmi, con l’incoraggiamento di Papa Damaso, Girolamo diede poi inizio nel suo ritiro di Betlemme alla traduzione di tutti i libri anticotestamentari, direttamente dall’ebraico: un’opera protrattasi per anni.


Per portare a termine questo lavoro di traduzione, Girolamo mise a frutto la sua conoscenza del greco e dell’ebraico, nonché la sua solida formazione latina, e si servì degli strumenti filologici che aveva a disposizione, in particolare delle Hexapla di Origene. Il testo finale coniugava la continuità nelle formule, ormai entrate nell’uso comune, con una maggiore aderenza al dettato ebraico, senza sacrificare l’eleganza della lingua latina. Il risultato è un vero monumento che ha segnato la storia culturale dell’Occidente, modellandone il linguaggio teologico. La traduzione di Girolamo, superati alcuni rifiuti iniziali, diventò subito patrimonio comune sia dei dotti, sia del popolo cristiano, donde il nome Vulgata.[41] L’Europa del medioevo ha imparato a leggere, a pregare e a ragionare sulle pagine della Bibbia tradotta da Girolamo. Così «la Sacra Scrittura è diventata una sorta di “immenso vocabolario” (P. Claudel) e di “atlante iconografico” (M. Chagall), a cui hanno attinto la cultura e l’arte cristiana».[42] La letteratura, le arti, e anche il linguaggio popolare hanno costantemente attinto alla versione geronimiana della Bibbia lasciandoci tesori di bellezza e di devozione.


È in ossequio a questo fatto incontestabile che il Concilio di Trento stabilì il carattere «autentico» della Vulgata nel decreto Insuper rendendo omaggio all’uso secolare che la Chiesa ne aveva fatto e attestandone il valore come strumento per lo studio, la predicazione e le dispute pubbliche.[43] Tuttavia, esso non cercava di minimizzare l’importanza delle lingue originali, come Girolamo non smetteva di ricordare, né, tantomeno, di vietare in futuro nuove imprese di traduzione integrale. San Paolo VI, raccogliendo il mandato dei Padri del Concilio Vaticano II, volle che il lavoro di revisione della traduzione della Vulgata fosse portato a compimento e messo a disposizione di tutta la Chiesa. È così che San Giovanni Paolo II, nella Costituzione apostolica Scripturarum thesaurus,[44] ha promulgato l’edizione tipica chiamata Neovulgata nel 1979.


La traduzione come inculturazione


Con questa sua traduzione, Girolamo è riuscito a “inculturare” la Bibbia nella lingua e nella cultura latina e questa sua operazione è diventata un paradigma permanente per l’azione missionaria della Chiesa. In effetti, «quando una comunità accoglie l’annuncio della salvezza, lo Spirito Santo ne feconda la cultura con la forza trasformante del Vangelo»,[45] e si instaura così una sorta di circolarità: come la traduzione di Girolamo è debitrice della lingua e della cultura dei classici latini, le cui impronte sono ben visibili, così essa, con il suo linguaggio e il suo contenuto simbolico e immaginifico, è diventata a sua volta elemento creatore di cultura.


L’opera di traduzione di Girolamo ci insegna che i valori e le forme positive di ogni cultura rappresentano un arricchimento per tutta la Chiesa. I diversi modi in cui la Parola di Dio è annunciata, compresa e vissuta ad ogni nuova traduzione, arricchiscono la Scrittura stessa, poiché essa, secondo la nota espressione di Gregorio Magno, cresce con il lettore,[46] ricevendo lungo i secoli nuovi accenti e nuove sonorità. L’inserimento della Bibbia e del Vangelo nelle diverse culture fa sì che la Chiesa si manifesti sempre più quale «sponsa ornata monilibus suis» (Is 61,10). E attesta, nello stesso tempo, che la Bibbia ha bisogno di essere costantemente tradotta nelle categorie linguistiche e mentali di ogni cultura e di ogni generazione, anche nella cultura secolarizzata globale del nostro tempo.[47]


È stato ricordato, a ragione, che è possibile stabilire un’analogia fra la traduzione, in quanto atto di ospitalità linguistica, e altre forme di accoglienza.[48] Per questo la traduzione non è un lavoro che riguarda unicamente il linguaggio, ma corrisponde, in verità, a una decisione etica più ampia, che si connette con l’intera visione della vita. Senza traduzione, le differenti comunità linguistiche sarebbero nell’impossibilità di comunicare tra loro; noi chiuderemmo gli uni agli altri le porte della storia e negheremmo la possibilità di costruire una cultura dell’incontro.[49] Senza traduzione, in effetti, non si dà ospitalità, e anzi si rafforzano le pratiche di ostilità. Il traduttore è un costruttore di ponti. Quanti giudizi avventati, quante condanne e conflitti nascono dal fatto che ignoriamo la lingua degli altri e che non ci applichiamo, con tenace speranza, a questa interminabile prova d’amore che è la traduzione!


Anche Girolamo dovette contrastare il pensiero dominante del suo tempo. Se agli albori dell’Impero romano conoscere il greco era relativamente comune, alla sua epoca già si trattava di una rarità. Egli venne comunque a essere uno dei migliori conoscitori della lingua e della letteratura greca cristiana e intraprese un ancor più arduo viaggio in solitaria quando si diede allo studio dell’ebraico. Se, come è stato scritto, «i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo»,[50] possiamo dire che dobbiamo al poliglottismo di San Girolamo una comprensione del cristianesimo più universale e, al tempo stesso, più coerente con le sue fonti.


Con la celebrazione del centenario della morte di San Girolamo, lo sguardo si volge alla straordinaria vitalità missionaria espressa dalla traduzione della Parola di Dio in più di tremila lingue. Tanti sono i missionari ai quali si deve la preziosa opera di pubblicazione di grammatiche, dizionari e altri strumenti linguistici che offrono i fondamenti alla comunicazione umana e sono un veicolo per il «sogno missionario di arrivare a tutti».[51] È necessario valorizzare tutto questo lavoro e investire su di esso, contribuendo al superamento delle frontiere della incomunicabilità e del mancato incontro. C’è ancora tanto da fare. Come è stato affermato, non esiste comprensione senza traduzione:[52] non comprenderemmo noi stessi né gli altri.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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